Vinci - Li zite 'ngalera - Marcon,Aspromonte,Amarù,Vitale,Morace,Mineccia
Teatro alla Scala, 4 Aprile 2023
Foto Brescia/Amisano – Teatro alla Scala
Nell’ottica di un recupero delle radici del melodramma italiano, dopo la Calisto di Cavalli andata in scena due anni fa, la Scala ha proposto un titolo di raro ascolto, Li zite ‘ngalera, commedia per musica in tre atti di Leonardo Vinci andata in scena nel 1722 a Napoli al Teatro dei Fiorentini e riscoperta solamente nel 1979 da De Simone per il maggio fiorentino. Nemmeno Riccardo Muti, che aveva osato in dialetto napoletano dell’epoca un recupero de Lo frate ‘nnamorato di Pergolesi, alla Scala nel 1989, si era mai cimentato in questo lavoro di dieci anni precedente e appartenente a un genere di “Commedeja pe museca” che si distingue per l’azione brillante, una predilezione per il recitar cantando dove i lunghi recitativi si inseriscono appunto nella commedia senza gli appesantimenti di certo teatro barocco del genere serio. Sull’importanza di Napoli e della scuola napoletana tra il ‘600 e il ‘700 non è il caso qui di insistere, né sull’importanza di Leonardo Vinci, che con Leonardo Leo è tra i nomi più illustri di questo primo settecento napoletano. E nemmeno sulla eccellenza dei Conservatori della città, che producevano un numero di compositori, strumentisti, cantanti sufficienti a fornire all’Europa musicale materiale per la maggior parte delle nuove produzioni.
Il lavoro di Vinci su libretto di Bernardo Saddumene, dopo un inizio diciamo pure circospetto nel gradimento del pubblico, ha via via acquisito un consenso che soprattutto nel terzo atto si è tramutato in vero e proprio successo, con l’incremento della frequenza degli applausi dopo gli interventi più importanti dei solisti di canto e l’abitudine da parte degli spettatori nei confronti di uno stile giocoso oggigiorno di minore impatto rispetto ai tempi in cui l’opera andava in scena.
Merito sicuramente anche del direttore Andrea Marcon che guidava un ensemble misto formato dall’orchestra della Scala e dagli elementi de La Cetra Barockorchester di Basilea, intonati rigorosamente ai 415 Herz più consoni all’epoca e risonanti di strumenti che utilizzano gli archi barocchi di budello. Tamburelli e timpani (questi ultimi solo nell’Ouverture iniziale, che è sempre di Vinci ma non scritta appositamente per questo lavoro), colascione, tiorbe, oboi formano il timbricamente variegato complesso di suoni che accompagnano la commedia con interventi sempre felici. La presenza di arie brevi con da capo alleggeriva i lunghi ritornelli dialettali che pochi capivano nel dettaglio (era infatti necessaria la consueta presenza degli schermi traduttori) anche se il significato spesso farsesco dell’insieme non era di difficile intuizione. Ci pensava anche la motilità dei protagonisti (specialmente nel caso del bravissimo Raffaele Pe) a ravvivare il discorso, mediato da una regìa di Leo Muscato che forse avrebbe potuto osare qualcosa di più rispetto al racconto nudo e crudo della pur complessa vicenda, messa in scena da Federica Parolini e descritta anche attraverso i costumi di Silvia Aymonino.
L’ambientazione dell’opera era in quel di Vietri sul mare, nella giornata di martedì grasso, ma il vicolo originariamente richiesto dal libretto viene trasformato qui in una locanda dove si tiene una festa. Il sipario è impreziosito negli stacchi da un quadro, con tanto di enorme cornice dorata, che raffigura la famosa immagine del porto di Napoli con annessi e conessi.
La vicenda è in realtà una vera e propria folle journée in cui quattro giovani amanti (tre soprani e un contralto-controtenore) e tre personaggi anziani (due tenori e un basso) anelano ad amori contraddittori e impossibili in una complicata sequenza di episodi che risultano difficili da illustrare e persino da seguire, anche per lo scambio di ruoli maschili e femminili che è motivo di ulteriore confusione. Sarebbe a questo punto ingiusto indicare priorità, anche se al momento degli applausi finali si capiva quali erano stati i ruoli chiave anche dal punto di vista vocale. Applausi sentiti per Alberto Allegrezza, tenore a perfetto agio nella parte della padrona della locanda, per Raffaele Pe, noto e bravissimo controtenore al suo debutto scaligero come Ciccariello, Francesca Pia Vitale (Ciomma, la preferita da tutti i maschietti), Chiara Amarù, soprano nel ruolo di Belluccia, Francesca Aspromonte (Carlo, una sorta di Don Giovanni locale) e ancora a Filippo Mineccia, , Marco Filippo Romano (Rapisto), Antonino Siragusa (il barbiere), Filippo Morace, Fan Zhou e Matias Moncada (i due ultimi escono dall’Accademia del Teatro).
L’ultima recita del 21 aprile permetterà agli esclusi la visione in diretta sul sito www.lascala.tv. Prima di ogni recita vi sarà nel ridotto dei palchi una presentazione a cura di Claudio Toscani.
Il lavoro di Vinci su libretto di Bernardo Saddumene, dopo un inizio diciamo pure circospetto nel gradimento del pubblico, ha via via acquisito un consenso che soprattutto nel terzo atto si è tramutato in vero e proprio successo, con l’incremento della frequenza degli applausi dopo gli interventi più importanti dei solisti di canto e l’abitudine da parte degli spettatori nei confronti di uno stile giocoso oggigiorno di minore impatto rispetto ai tempi in cui l’opera andava in scena.
Merito sicuramente anche del direttore Andrea Marcon che guidava un ensemble misto formato dall’orchestra della Scala e dagli elementi de La Cetra Barockorchester di Basilea, intonati rigorosamente ai 415 Herz più consoni all’epoca e risonanti di strumenti che utilizzano gli archi barocchi di budello. Tamburelli e timpani (questi ultimi solo nell’Ouverture iniziale, che è sempre di Vinci ma non scritta appositamente per questo lavoro), colascione, tiorbe, oboi formano il timbricamente variegato complesso di suoni che accompagnano la commedia con interventi sempre felici. La presenza di arie brevi con da capo alleggeriva i lunghi ritornelli dialettali che pochi capivano nel dettaglio (era infatti necessaria la consueta presenza degli schermi traduttori) anche se il significato spesso farsesco dell’insieme non era di difficile intuizione. Ci pensava anche la motilità dei protagonisti (specialmente nel caso del bravissimo Raffaele Pe) a ravvivare il discorso, mediato da una regìa di Leo Muscato che forse avrebbe potuto osare qualcosa di più rispetto al racconto nudo e crudo della pur complessa vicenda, messa in scena da Federica Parolini e descritta anche attraverso i costumi di Silvia Aymonino.
L’ambientazione dell’opera era in quel di Vietri sul mare, nella giornata di martedì grasso, ma il vicolo originariamente richiesto dal libretto viene trasformato qui in una locanda dove si tiene una festa. Il sipario è impreziosito negli stacchi da un quadro, con tanto di enorme cornice dorata, che raffigura la famosa immagine del porto di Napoli con annessi e conessi.
La vicenda è in realtà una vera e propria folle journée in cui quattro giovani amanti (tre soprani e un contralto-controtenore) e tre personaggi anziani (due tenori e un basso) anelano ad amori contraddittori e impossibili in una complicata sequenza di episodi che risultano difficili da illustrare e persino da seguire, anche per lo scambio di ruoli maschili e femminili che è motivo di ulteriore confusione. Sarebbe a questo punto ingiusto indicare priorità, anche se al momento degli applausi finali si capiva quali erano stati i ruoli chiave anche dal punto di vista vocale. Applausi sentiti per Alberto Allegrezza, tenore a perfetto agio nella parte della padrona della locanda, per Raffaele Pe, noto e bravissimo controtenore al suo debutto scaligero come Ciccariello, Francesca Pia Vitale (Ciomma, la preferita da tutti i maschietti), Chiara Amarù, soprano nel ruolo di Belluccia, Francesca Aspromonte (Carlo, una sorta di Don Giovanni locale) e ancora a Filippo Mineccia, , Marco Filippo Romano (Rapisto), Antonino Siragusa (il barbiere), Filippo Morace, Fan Zhou e Matias Moncada (i due ultimi escono dall’Accademia del Teatro).
L’ultima recita del 21 aprile permetterà agli esclusi la visione in diretta sul sito www.lascala.tv. Prima di ogni recita vi sarà nel ridotto dei palchi una presentazione a cura di Claudio Toscani.