Seong-Jin Cho
Classic Voice n.216, Maggio 2017
Roberto Prosseda. Alla ricerca del Mendelssohn perduto.
Classic Voice n.181, Giugno 2014
Alexander Lonquich, mozartiano d'elezione - Amadeus, Marzo 2004
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Intervista al pianista Zoltan Kocsis - Piano Time, Novembre 1992
Nella sua seconda edizione di
"The Great Pianists", Harold Schonberg, decano dei critici americani,
così sintetizza la sua opinione sulla nuova generazione di pianisti ungheresi:
"Il periodo del dopoguerra produsse tre giovani artisti degni di nota:
András Schiff, Dezso Ranki e Zoltán Kocsis. Schiff concentro'i suoi interessi
in un area dominata da Bach e da Mozart. Ranki è divenuto famoso come
specialista di Bartók, pur avendo un repertorio che si estende da Mozart a
Strawinski. Ma forse la persona che ha più talento in questo gruppo di giovani
molto dotati è proprio Kocsis, che sembra poter suonare qualsiasi cosa. Ha una
tecnica straordinaria che gli permette di evidenziare ogni nota con la massima
chiarezza; le sue interpretazioni si distinguono per intelligenza, spirito e
temperamento. E produce un magnifico suono cantabile dal suo strumento."
Kocsis, nato a Budapest nel 1952, ha frequentato il Conservatorio "Bartók" della sua città dal 1963 al 1968. Dal 1968 studia con Pal Kadosa e Ferenc Rados all'Accademia "Liszt". Nel 1970 è primo premio al Concorso Beethoven della radio Ungherese. Nel 1973 vince il prestigioso Premio Liszt, nel 1977 suona a Hohenems e a Tours con Richter e infine nel '78 gli viene conferita una delle massime onoreficenze nazionali, il "Premio Kossuth".
I suoi esordi discografici avvengono in Ungheria con Haydn (Sonate,1976) e Mozart (Sonate,1978), avvalendosi spesso della collaborazione degli amici Ranki e Schiff. Sempre con Ranki suona Bartók (Concerto per 2 pff.) a Budapest (1981), sotto la direzione di Ferencsik.
Inizia la collaborazione con la PHILIPS (1981) incidendo i Concerti di Rachmaninov e trascrizioni di Liszt-Wagner (accompagnate da proprie trascrizioni della scena finale della Walkiria e dell' Ouverture dei Meistersinger).
Nel 1986 incide il terzo libro degli "Années de Pélerinage" di Liszt.
Attivo come ricercatore di fonti sonore del passato (ha collaborato alla monumentale edizione discografica dedicata alle opere incise da Bartók) e membro del comitato che cura la pubblicazione dell'opera omnia lisztiana a Budapest, Kocsis è insomma una personalità di grande interesse nel mondo musicale odierno.
L'Italia ha ospitato Kocsis e Ranki nei primi anni '70 (un tipico programma dell'Unione Musicale di Torino riporta nella stessa serata del 25 ottobre 1972 l'op.10 n.3 di Beethoven suonata da Kocsis,le Waldszenen di Schumann interpretate da Ranki e per finire i due pianisti impegnati nella Sonata di Bartók per 2 pff.e percussioni), senza per questo attribuire ai due l'importanza che si meritavano. Le vicende discografiche e pubblicitarie hanno nel tempo favorito sicuramente András Schiff, lanciato dalla Decca con una operazione di vasto respiro. Ma ora ci sembra che sia venuto il momento,anche da noi, di collocare almeno Kocsis nella posizione che gli spetta di diritto : basti pensare che la Philips gli ha affidato l'incarico di incidere una integrale bartókiana (è appena uscito il primo volume) che ha tutti i numeri per rivestire una posizione di riferimento assoluto nel mercato discografico.
A partire dal 1978 una organizzazione milanese (la Società dei Concerti) ha compiuto un meritevole sforzo nell'affidare a Kocsis la responsabilità di un intero programma concertistico. Il successo fu tale - nonostante la "difficoltà" di impaginazione dei programmi di Kocsis - da far si che un secondo invito non potesse farsi attendere più a lungo. Difficoltà di diversa natura hanno fatto sì che il nuovo appuntamento si realizzasse solamente l'11 novembre scorso. Il giorno prima del Concerto abbiamo rivolto a Kocsis alcune domande che sono proprio partite dal problema del significato dei programmi concertistici del pianista.
Domani sera lei accosta pagine apparentemente distanti tra loro, non solo cronologicamente: si parte dalla prima Sonata di Beethoven (in fa min.op.2 n.1), si prosegue con una selezione dalle Bagatelle op.6 di Bartók, si ritorna a Chopin (4 Mazurke e la Polonaise-Fantaisie) e la conclusione è affidata al tardo Liszt (Jeux d'eau a la Villa d'Este e Sunt lacrymae rerum dal terzo libro degli Années e la profetica Csardas Macabre). Ci vuole spiegare questi accostamenti?
Certamente questo non è un programma "facile", soprattutto per il pubblico italiano. In parte è ritagliato sulle esigenze della mia casa discografica (ho registrato la prima Sonata di Beethoven, il terzo libro degli Années di Liszt e sto intraprendendo l'incisione dell'integrale delle opere pianistiche di Bartók). Ma è naturale che queste scelte derivino da un disegno personale ben preciso: Bartók amava moltissimo Beethoven e il collegamento Chopin-Liszt appare evidente, anche se il Liszt tirato in causa in questo programma è certamente quello più problematico, più aperto verso il futuro. Per quanto riguarda le Bagatelle, devo notare che Bartók stesso ne eseguiva in pubblico una selezione: ho provato a suonare in concerto l'integrale, ma mi sembra che il pubblico sia rimasto un po' disorientato. Sono convinto che, a fianco della Suite op.14, le Bagatelle rivestano una importanza cruciale nella produzione bartokiana. La decima poi, presenta una scrittura ancora più selvaggia e irruente di quella del famoso Allegro barbaro. Ritornando al tema generale del programma, devo dire che la scelta raggiunge il suo scopo quando il pubblico non si accorge della durata temporale del recital.
Il Liszt dal quale lei sembra piu'attratto è quello che opera nell'ultimo periodo : ricordo che nel recital milanese del '78 vi erano pagine come L'Impromptu in fa# maggiore e l'Ave Maria. Ricordo ancora un bellissimo concerto parigino, nell'86, durante il quale lei ha accompagnato Miklos Perenyi nella versione per violoncello e pianoforte della "Lugubre Gondola" e nelle Elegie...
Trovo che l'ultimo Liszt sia tutto sommato il più interessante, soprattutto per gli sviluppi della musica del novecento. L'accostamento tra la Csardas Macabre e l'Allegro barbaro di Bartók è un altro esempio di collegamento ideale presente nel mio recital di domani sera. Mi sembra che vi sia un sottile legame tra il Liszt dell'Impromptu da lei citato e certe pagine di Rachmaninov: sono convinto che Rachmaninov fu molto influenzato da Liszt, così come e' evidente il rapporto tra Liszt e Debussy. Liszt insomma ha proprio previsto gli sviluppi di gran parte della musica del nostro secolo e in certe pagine come Unstern!, Schlaflos o Nuages gris ha lasciato dei messaggi che vanno forse ancora decifrati. Se esuliamo poi dal panorama strettamente pianistico, trovo che in opere come la "Leggenda di S.Elisabetta" o il "Christus" vi sia una vera e propria miniera di tesori musicali da analizzare e approfondire. E si tratta di lavori che nel vostro paese non sono molto frequentati.
Nell'87 lei ha anche accostato al tardo Liszt quello totalmente differente delle "Reminiscenze dalla Norma". Qual'è il suo atteggiamento nei confronti del Liszt delle grandi Parafrasi e perché lei è rimasto attratto da questa particolare categoria di lavori, tanto da pubblicare in disco alcune sue trascrizioni già affrontate dallo stesso Liszt (la "Morte d'Isotta") ?
Vi sono Parafrasi che mi piacciono molto e altre che trovo meno riuscite. Non capisco ad esempio come Liszt abbia potuto iniziare l'Isoldens Liebestod proprio con il tema della morte. Ho voluto poi estendere ad altri luoghi wagneriani il mio lavoro di trascrittore: sono particolarmente soddisfatto della mia parafrasi della scena delle "Fanciulle fiore" dal Parsifal, che non ho potuto peraltro incidere. Si tratta di un lavoro che è stato per me molto utile sia per capire come si possa costruire una parafrasi in senso lisztiano, sia per risolvere dei problemi di orchestrazione sul pianoforte. Non capisco come mai Liszt non abbia trascritto questa scena, così come non si sia interessato al Preludio dei "Maestri Cantori"; forse la scrittura del Preludio e' troppo accordale.
La mia trascrizione della scena finale della Walkiria è nata da una mia insoddisfazione nei confronti dell'analogo lavoro compiuto da Louis Brassin, un esercizio tecnico che oltretutto non "suona" bene sul pianoforte. Ritornando a Liszt, trovo che alcune trascrizioni, come quella della Danse macabre di Saint-Saëns siano davvero piu' efficaci dell'originale!.
Non trova che sarebbe il momento di concentrare l'attenzione anche sul Liszt giovanile? A questo proposito mi viene spontaneo chiederle se la nuova monumentale edizione ungherese delle opere complete di Liszt potrà in qualche modo modificare il repertorio dei pianisti fin dagli studi conservatoriali, includendo pagine che fino ad oggi sono risultate praticamente assenti dai programmi concertistici e ministeriali.
Spero proprio, come membro del comitato che presiede a questa operazione editoriale, che tutto ciò possa avvenire. Vi sono pagine giovanili come le Apparitions che come lei sa contengono anticipazioni interessantissime. Tuttavia sono sempre più convinto che il pianista lisztiano ideale debba avere una formazione completa e soprattutto debba possedere delle caratteristiche eterogenee che riflettano la personalita' di Liszt, una personalità davvero complessa. Occorre dimostrare una attitudine scientifica, accademica, una rivolta al grande virtuosismo strumentale, una piu' meditativa e filosofica e oltre a ciò possedere lo spirito di un grande amatore. E'quasi impossibile che in uno stesso interprete possano coesistere tutte queste personalità, e questo è il motivo per cui è difficile che un unico pianista possa eccellere allo stesso modo nella proposta delle varie sfaccettature dell'opera lisztiana. Non dobbiamo inoltre dimenticare che le influenze determinanti che hanno plasmato la vena creativa di Liszt hanno origini ungheresi, francesi, italiane e tedesche: il discorso parte quindi da presupposti complicatissimi.
In linea di massima io cerco di cogliere quello spirito unificatore che pure è ravvisabile in Liszt: questo scopo è raggiungibile ovviamente in un solo modo, cioè studiando e suonando tutta la sua musica. Dal punto di vista strettamente tecnico sono poi convinto che l'attitudine virtuosistica sia alla base della chiave di lettura di qualsiasi opera pianistica di Liszt: non e' possibile accostarsi ad esempio alla Csardas Macabre con un atteggiamento accademico, perche' esiste un particolare tipo di virtuosismo con il quale vanno affrontate anche le pagine del tardo Liszt.
So che lei si e' molto impegnato a favore della pubblicazione delle registrazioni effettuate a suo tempo da Bartók. Ci vuole parlare del suo interesse per i pianisti del passato?
L'argomento è molto complesso e cercherei di riassumerlo così. Dividerei i pianisti storici in due categorie : i modernisti e i tradizionali. Nella prima categoria considero senz'altro Schnabel e Bartók. Nella seconda Lhevinne, Hofmann e in genere tutti i prodotti della scuola russo-polacca. Di quest'ultima ammiro innazitutto l'atteggiamento oramai scomparso nei confronti della musica che interpretavano: il respiro, la libertà espressiva. Della prima categoria ammiro l'analiticità, l'obiettività. Ma in ogni caso devo dire che si apprende moltissimo ascoltando tutte le vecchie registrazioni : questi pianisti erano molto piu' vicini alle fonti musicali ,ai testi da loro interpretati, di quanto non possiamo esserlo noi oggi. E poi oggi si è talmente condizionati dai concorsi che il giovane pianista difficilmente riesce ad esprimersi per quello che effettivamente è. Il concorrente tende a suonare secondo uno stile uniforme, o peggio ancora in un modo tale da influenzare questo o quel membro della Giuria.
Tornando alle grandi figure del passato, confesso di avere delle curiosità che rimarranno purtroppo inappagate: mentre riesco a farmi un'idea dello stile esecutivo di Liszt, non riesco in particolare ad immaginare come potesse suonare Chopin. Le descrizioni che ci sono rimaste sono piuttosto contrastanti, anche se insistono sull'intervallo di sonorità limitato verso l'alto. Non capisco ad esempio come Chopin potesse suonare la sezione di sviluppo del primo movimento della Sonata in si bem.minore. In ogni modo, all'interno delllo spettro di sonorità da lui dominato Chopin doveva essere assolutamente fantastico.
Tra i grandi pianisti non abbiamo citato Rachmaninov...
Oh, non ne avevo ancora parlato perché per me è rimasto davvero un esempio unico. Direi che a parte Glenn Gould, per il quale ho provato un enorme anche se temporaneo interesse, Rachmaninov rimane un modello insuperabile di integrità artistica. Si dice che studiasse per ore e ore anche un singolo passaggio di uno studio di Chopin, ma quello che è impressionante è l'estrema naturalezza del suo gioco pianistico anche nelle pagine più difficili del repertorio. Penso alla cadenza del suo primo Concerto, o alla sua incisione del Carnaval di Schumann.
E pensare che in Italia ,fino a non molti anni fa,la maggior parte della critica ha sempre considerato Rachmaninov un compositore di colonne sonore...
Premetto che odio qualsiasi forma di pregiudizio. E poi i critici dimenticano che Rachmaninov era nato nel 1873, che ha composto la maggior parte delle sue opere prima di lasciare la Russia e quindi la sua vena melodica,che faceva parte del suo stile, della sua personalità, non ha nulla a che fare con Hollywood. In questo periodo sto studiando la partitura del Pelleas di Schoenberg: la scena della morte di Melisande sarebbe veramentee adatta come colonna sonora di un film di Fellini !
E poi cosa vuol dire che Rachmaninov era anacronistico? Non lo era forse Puccini, o lo stesso Ravel?
A parte i quattro Concerti e la Rapsodia su un tema di Paganini, che cosa altro ha suonato di Rachmaninov?
Mi piacciono molto le Variazioni. Avevo inciso qualche anno fa quelle sul tema di Corelli, ma devo confessare che non ho dato alla Philips il permesso di pubblicare la registrazione, perche' non ne ero molto soddisfatto.
Come concilia il suo amore per il Rachmaninov pianista con il suo altrettanto vivo interesse per le registrazioni di Bartók?
Certo, Bartók era un pianista completamente diverso, era un modernista. Ma aveva anch'egli delle radici romantiche : come tutti sanno fu molto influenzato da Liszt. Mi piace molto il modo con il quale affronta ad esempio il Notturno in do# minore op.27 n.1. di Chopin.
Ci parli, per concludere questa lunga intervista, dei suoi progetti futuri e in particolare dell'edizione completa delle opere di Bartók che ha iniziato a incidere per la Philips.
Spero che questo grande impegno bartókiano venga apprezzato al di là del concetto di "integrale" che sta molto a cuore alle case discografiche ma che non mi attira particolarmente se è fine a se stesso. Sto cercando di seguire una linea programmatica ben precisa in ogni disco che incido, e per quanto riguarda Bartók il secondo volume sarà dedicato principalmente agli Studi op.18, che tra parentesi sono veramente difficili. Penso inoltre di realizzare prossimamente un disco con le ultime sonate di Beethoven, e un altro con i Concerti di Ravel, ai quali accoppierei volentieri la Fantasia per pianoforte e orchestra di Debussy. Per quest'ultimo progetto mi avvalerò della collaborazione di quella "Budapest Festival Orchestra" che ho fondato con Ivan Fischer alcuni anni fa.
Kocsis, nato a Budapest nel 1952, ha frequentato il Conservatorio "Bartók" della sua città dal 1963 al 1968. Dal 1968 studia con Pal Kadosa e Ferenc Rados all'Accademia "Liszt". Nel 1970 è primo premio al Concorso Beethoven della radio Ungherese. Nel 1973 vince il prestigioso Premio Liszt, nel 1977 suona a Hohenems e a Tours con Richter e infine nel '78 gli viene conferita una delle massime onoreficenze nazionali, il "Premio Kossuth".
I suoi esordi discografici avvengono in Ungheria con Haydn (Sonate,1976) e Mozart (Sonate,1978), avvalendosi spesso della collaborazione degli amici Ranki e Schiff. Sempre con Ranki suona Bartók (Concerto per 2 pff.) a Budapest (1981), sotto la direzione di Ferencsik.
Inizia la collaborazione con la PHILIPS (1981) incidendo i Concerti di Rachmaninov e trascrizioni di Liszt-Wagner (accompagnate da proprie trascrizioni della scena finale della Walkiria e dell' Ouverture dei Meistersinger).
Nel 1986 incide il terzo libro degli "Années de Pélerinage" di Liszt.
Attivo come ricercatore di fonti sonore del passato (ha collaborato alla monumentale edizione discografica dedicata alle opere incise da Bartók) e membro del comitato che cura la pubblicazione dell'opera omnia lisztiana a Budapest, Kocsis è insomma una personalità di grande interesse nel mondo musicale odierno.
L'Italia ha ospitato Kocsis e Ranki nei primi anni '70 (un tipico programma dell'Unione Musicale di Torino riporta nella stessa serata del 25 ottobre 1972 l'op.10 n.3 di Beethoven suonata da Kocsis,le Waldszenen di Schumann interpretate da Ranki e per finire i due pianisti impegnati nella Sonata di Bartók per 2 pff.e percussioni), senza per questo attribuire ai due l'importanza che si meritavano. Le vicende discografiche e pubblicitarie hanno nel tempo favorito sicuramente András Schiff, lanciato dalla Decca con una operazione di vasto respiro. Ma ora ci sembra che sia venuto il momento,anche da noi, di collocare almeno Kocsis nella posizione che gli spetta di diritto : basti pensare che la Philips gli ha affidato l'incarico di incidere una integrale bartókiana (è appena uscito il primo volume) che ha tutti i numeri per rivestire una posizione di riferimento assoluto nel mercato discografico.
A partire dal 1978 una organizzazione milanese (la Società dei Concerti) ha compiuto un meritevole sforzo nell'affidare a Kocsis la responsabilità di un intero programma concertistico. Il successo fu tale - nonostante la "difficoltà" di impaginazione dei programmi di Kocsis - da far si che un secondo invito non potesse farsi attendere più a lungo. Difficoltà di diversa natura hanno fatto sì che il nuovo appuntamento si realizzasse solamente l'11 novembre scorso. Il giorno prima del Concerto abbiamo rivolto a Kocsis alcune domande che sono proprio partite dal problema del significato dei programmi concertistici del pianista.
Domani sera lei accosta pagine apparentemente distanti tra loro, non solo cronologicamente: si parte dalla prima Sonata di Beethoven (in fa min.op.2 n.1), si prosegue con una selezione dalle Bagatelle op.6 di Bartók, si ritorna a Chopin (4 Mazurke e la Polonaise-Fantaisie) e la conclusione è affidata al tardo Liszt (Jeux d'eau a la Villa d'Este e Sunt lacrymae rerum dal terzo libro degli Années e la profetica Csardas Macabre). Ci vuole spiegare questi accostamenti?
Certamente questo non è un programma "facile", soprattutto per il pubblico italiano. In parte è ritagliato sulle esigenze della mia casa discografica (ho registrato la prima Sonata di Beethoven, il terzo libro degli Années di Liszt e sto intraprendendo l'incisione dell'integrale delle opere pianistiche di Bartók). Ma è naturale che queste scelte derivino da un disegno personale ben preciso: Bartók amava moltissimo Beethoven e il collegamento Chopin-Liszt appare evidente, anche se il Liszt tirato in causa in questo programma è certamente quello più problematico, più aperto verso il futuro. Per quanto riguarda le Bagatelle, devo notare che Bartók stesso ne eseguiva in pubblico una selezione: ho provato a suonare in concerto l'integrale, ma mi sembra che il pubblico sia rimasto un po' disorientato. Sono convinto che, a fianco della Suite op.14, le Bagatelle rivestano una importanza cruciale nella produzione bartokiana. La decima poi, presenta una scrittura ancora più selvaggia e irruente di quella del famoso Allegro barbaro. Ritornando al tema generale del programma, devo dire che la scelta raggiunge il suo scopo quando il pubblico non si accorge della durata temporale del recital.
Il Liszt dal quale lei sembra piu'attratto è quello che opera nell'ultimo periodo : ricordo che nel recital milanese del '78 vi erano pagine come L'Impromptu in fa# maggiore e l'Ave Maria. Ricordo ancora un bellissimo concerto parigino, nell'86, durante il quale lei ha accompagnato Miklos Perenyi nella versione per violoncello e pianoforte della "Lugubre Gondola" e nelle Elegie...
Trovo che l'ultimo Liszt sia tutto sommato il più interessante, soprattutto per gli sviluppi della musica del novecento. L'accostamento tra la Csardas Macabre e l'Allegro barbaro di Bartók è un altro esempio di collegamento ideale presente nel mio recital di domani sera. Mi sembra che vi sia un sottile legame tra il Liszt dell'Impromptu da lei citato e certe pagine di Rachmaninov: sono convinto che Rachmaninov fu molto influenzato da Liszt, così come e' evidente il rapporto tra Liszt e Debussy. Liszt insomma ha proprio previsto gli sviluppi di gran parte della musica del nostro secolo e in certe pagine come Unstern!, Schlaflos o Nuages gris ha lasciato dei messaggi che vanno forse ancora decifrati. Se esuliamo poi dal panorama strettamente pianistico, trovo che in opere come la "Leggenda di S.Elisabetta" o il "Christus" vi sia una vera e propria miniera di tesori musicali da analizzare e approfondire. E si tratta di lavori che nel vostro paese non sono molto frequentati.
Nell'87 lei ha anche accostato al tardo Liszt quello totalmente differente delle "Reminiscenze dalla Norma". Qual'è il suo atteggiamento nei confronti del Liszt delle grandi Parafrasi e perché lei è rimasto attratto da questa particolare categoria di lavori, tanto da pubblicare in disco alcune sue trascrizioni già affrontate dallo stesso Liszt (la "Morte d'Isotta") ?
Vi sono Parafrasi che mi piacciono molto e altre che trovo meno riuscite. Non capisco ad esempio come Liszt abbia potuto iniziare l'Isoldens Liebestod proprio con il tema della morte. Ho voluto poi estendere ad altri luoghi wagneriani il mio lavoro di trascrittore: sono particolarmente soddisfatto della mia parafrasi della scena delle "Fanciulle fiore" dal Parsifal, che non ho potuto peraltro incidere. Si tratta di un lavoro che è stato per me molto utile sia per capire come si possa costruire una parafrasi in senso lisztiano, sia per risolvere dei problemi di orchestrazione sul pianoforte. Non capisco come mai Liszt non abbia trascritto questa scena, così come non si sia interessato al Preludio dei "Maestri Cantori"; forse la scrittura del Preludio e' troppo accordale.
La mia trascrizione della scena finale della Walkiria è nata da una mia insoddisfazione nei confronti dell'analogo lavoro compiuto da Louis Brassin, un esercizio tecnico che oltretutto non "suona" bene sul pianoforte. Ritornando a Liszt, trovo che alcune trascrizioni, come quella della Danse macabre di Saint-Saëns siano davvero piu' efficaci dell'originale!.
Non trova che sarebbe il momento di concentrare l'attenzione anche sul Liszt giovanile? A questo proposito mi viene spontaneo chiederle se la nuova monumentale edizione ungherese delle opere complete di Liszt potrà in qualche modo modificare il repertorio dei pianisti fin dagli studi conservatoriali, includendo pagine che fino ad oggi sono risultate praticamente assenti dai programmi concertistici e ministeriali.
Spero proprio, come membro del comitato che presiede a questa operazione editoriale, che tutto ciò possa avvenire. Vi sono pagine giovanili come le Apparitions che come lei sa contengono anticipazioni interessantissime. Tuttavia sono sempre più convinto che il pianista lisztiano ideale debba avere una formazione completa e soprattutto debba possedere delle caratteristiche eterogenee che riflettano la personalita' di Liszt, una personalità davvero complessa. Occorre dimostrare una attitudine scientifica, accademica, una rivolta al grande virtuosismo strumentale, una piu' meditativa e filosofica e oltre a ciò possedere lo spirito di un grande amatore. E'quasi impossibile che in uno stesso interprete possano coesistere tutte queste personalità, e questo è il motivo per cui è difficile che un unico pianista possa eccellere allo stesso modo nella proposta delle varie sfaccettature dell'opera lisztiana. Non dobbiamo inoltre dimenticare che le influenze determinanti che hanno plasmato la vena creativa di Liszt hanno origini ungheresi, francesi, italiane e tedesche: il discorso parte quindi da presupposti complicatissimi.
In linea di massima io cerco di cogliere quello spirito unificatore che pure è ravvisabile in Liszt: questo scopo è raggiungibile ovviamente in un solo modo, cioè studiando e suonando tutta la sua musica. Dal punto di vista strettamente tecnico sono poi convinto che l'attitudine virtuosistica sia alla base della chiave di lettura di qualsiasi opera pianistica di Liszt: non e' possibile accostarsi ad esempio alla Csardas Macabre con un atteggiamento accademico, perche' esiste un particolare tipo di virtuosismo con il quale vanno affrontate anche le pagine del tardo Liszt.
So che lei si e' molto impegnato a favore della pubblicazione delle registrazioni effettuate a suo tempo da Bartók. Ci vuole parlare del suo interesse per i pianisti del passato?
L'argomento è molto complesso e cercherei di riassumerlo così. Dividerei i pianisti storici in due categorie : i modernisti e i tradizionali. Nella prima categoria considero senz'altro Schnabel e Bartók. Nella seconda Lhevinne, Hofmann e in genere tutti i prodotti della scuola russo-polacca. Di quest'ultima ammiro innazitutto l'atteggiamento oramai scomparso nei confronti della musica che interpretavano: il respiro, la libertà espressiva. Della prima categoria ammiro l'analiticità, l'obiettività. Ma in ogni caso devo dire che si apprende moltissimo ascoltando tutte le vecchie registrazioni : questi pianisti erano molto piu' vicini alle fonti musicali ,ai testi da loro interpretati, di quanto non possiamo esserlo noi oggi. E poi oggi si è talmente condizionati dai concorsi che il giovane pianista difficilmente riesce ad esprimersi per quello che effettivamente è. Il concorrente tende a suonare secondo uno stile uniforme, o peggio ancora in un modo tale da influenzare questo o quel membro della Giuria.
Tornando alle grandi figure del passato, confesso di avere delle curiosità che rimarranno purtroppo inappagate: mentre riesco a farmi un'idea dello stile esecutivo di Liszt, non riesco in particolare ad immaginare come potesse suonare Chopin. Le descrizioni che ci sono rimaste sono piuttosto contrastanti, anche se insistono sull'intervallo di sonorità limitato verso l'alto. Non capisco ad esempio come Chopin potesse suonare la sezione di sviluppo del primo movimento della Sonata in si bem.minore. In ogni modo, all'interno delllo spettro di sonorità da lui dominato Chopin doveva essere assolutamente fantastico.
Tra i grandi pianisti non abbiamo citato Rachmaninov...
Oh, non ne avevo ancora parlato perché per me è rimasto davvero un esempio unico. Direi che a parte Glenn Gould, per il quale ho provato un enorme anche se temporaneo interesse, Rachmaninov rimane un modello insuperabile di integrità artistica. Si dice che studiasse per ore e ore anche un singolo passaggio di uno studio di Chopin, ma quello che è impressionante è l'estrema naturalezza del suo gioco pianistico anche nelle pagine più difficili del repertorio. Penso alla cadenza del suo primo Concerto, o alla sua incisione del Carnaval di Schumann.
E pensare che in Italia ,fino a non molti anni fa,la maggior parte della critica ha sempre considerato Rachmaninov un compositore di colonne sonore...
Premetto che odio qualsiasi forma di pregiudizio. E poi i critici dimenticano che Rachmaninov era nato nel 1873, che ha composto la maggior parte delle sue opere prima di lasciare la Russia e quindi la sua vena melodica,che faceva parte del suo stile, della sua personalità, non ha nulla a che fare con Hollywood. In questo periodo sto studiando la partitura del Pelleas di Schoenberg: la scena della morte di Melisande sarebbe veramentee adatta come colonna sonora di un film di Fellini !
E poi cosa vuol dire che Rachmaninov era anacronistico? Non lo era forse Puccini, o lo stesso Ravel?
A parte i quattro Concerti e la Rapsodia su un tema di Paganini, che cosa altro ha suonato di Rachmaninov?
Mi piacciono molto le Variazioni. Avevo inciso qualche anno fa quelle sul tema di Corelli, ma devo confessare che non ho dato alla Philips il permesso di pubblicare la registrazione, perche' non ne ero molto soddisfatto.
Come concilia il suo amore per il Rachmaninov pianista con il suo altrettanto vivo interesse per le registrazioni di Bartók?
Certo, Bartók era un pianista completamente diverso, era un modernista. Ma aveva anch'egli delle radici romantiche : come tutti sanno fu molto influenzato da Liszt. Mi piace molto il modo con il quale affronta ad esempio il Notturno in do# minore op.27 n.1. di Chopin.
Ci parli, per concludere questa lunga intervista, dei suoi progetti futuri e in particolare dell'edizione completa delle opere di Bartók che ha iniziato a incidere per la Philips.
Spero che questo grande impegno bartókiano venga apprezzato al di là del concetto di "integrale" che sta molto a cuore alle case discografiche ma che non mi attira particolarmente se è fine a se stesso. Sto cercando di seguire una linea programmatica ben precisa in ogni disco che incido, e per quanto riguarda Bartók il secondo volume sarà dedicato principalmente agli Studi op.18, che tra parentesi sono veramente difficili. Penso inoltre di realizzare prossimamente un disco con le ultime sonate di Beethoven, e un altro con i Concerti di Ravel, ai quali accoppierei volentieri la Fantasia per pianoforte e orchestra di Debussy. Per quest'ultimo progetto mi avvalerò della collaborazione di quella "Budapest Festival Orchestra" che ho fondato con Ivan Fischer alcuni anni fa.
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Intervista al pianista Stanislav Bunin - MUSICA, Settembre 1988
L'incontro
con Stanislav Bunin in occasione di un suo recente concerto milanese
sponsorizzato da una importante banca lombarda si è rivelato prezioso per
verificare alcune considerazioni critiche e per concoscere più da vicino un
interprete per molti versi enigmatico. La vittoria di Bunin al Concorso Chopin
di tre anni fa ha spalancato le porte a una carriera prestigiosa, procurando al
giovane Stanislav la consueta allettante offerta di un contratto discografico
da parte della ben nota etichetta gialla ma non ha permesso una immediato
inserimento del pianista nelle stagioni concertistiche del nostro paese,per i
consueti intoppi burocratici. La presentazione italiana di Bunin è quindi
avvenuta con notevole ritardo (una serie di recital ospitati dalla Società dei
Concerti di Milano) e non ha fatto altro che confermare l'eccezionale talento
di una delle figure di interprete più interessanti nel panorama internazionale.
La recente notizia di cronaca che rivela la discendenza di Bunin dall'unione di
Stanislav Neuhaus (il figlio del grande Heinrich) e di Mila Bunina ha per certi
versi chiarito alcuni aspetti che sono all'origine dello straordinario talento
del giovane pianista ma hanno aggiunto se possibile ancora un tocco di mistero
all'intera vicenda del concorso : come mai la notizia di così illustre
discendenza è stata divulgata solo adesso?
Ma la nostra intervista, svoltasi nell'albergo milanese in cui Bunin era ospite, voleva evitare rigorosamente qualsiasi accenno alla vita privata del giovane maestro e concentrare il più possibile il dialogo sulle origini della spiccata individualità artistica di Bunin, origini che abbiamo cercato di mettere a fuoco attraverso un paziente sondaggio e l'altrettanto paziente disponibilità di Milena Borromeo, che ha reso possibile grazie alla sua opera di traduzione uno scambio di idee altrimenti irrealizzabile.
Come si è svolta la sua educazione pianistica?
Direi che è iniziata in maniera molto tradizionale, ma non si è conclusa in maniera altrettanto tradizionale (a dire il vero non si è conclusa affatto). Ho iniziato gli studi in una delle scuole più importanti dell'Unione Sovietica, o che almeno era considerata tale quindici anni fa: la Scuola Centrale di Musica a Mosca. E' una scuola dove all'età di sei o sette anni si viene indirizzati a un'approccio alla musica davvero totalizzante, senza alcun insegnamento collaterale. E'un tipo di approccio molto professionale, che non è certo adatto per i "musicisti da salotto" o per chi in genere non prende le cose sul serio. Naturalmente anche alla Scuola non tutti gli insegnamenti erano allo stesso livello, ma la media era eccellente. A parte ciò, devo dire che l'influenza maggiore sulla mia formazione musicale l'ha avuta mia madre, che ha un curriculum di studi di alto livello e soprattutto una sua spiccata personalità di interprete che ha significato moltissimo per me. Devo aggiungere che una parte considerevole delle mie ore di studio sono state sempre dedicate all'ascolto delle grandi incisioni storiche - potevo disporre di una discoteca assai fornita - mentre raramente andavo ad assistere ad esecuzioni dal vivo.
Quali sono i pianisti sovietici che l'hanno maggiormante influenzata durante questi ascolti discografici?
Innanzituto mio nonno, Heinrich Neuhaus; tra i pianisti viventi senza dubbio Richter.
E Rachmaninov?
Penso che Rachmaninov come interprete fosse essenzialmente un neoromantico. C'è sempre qualcosa di diabolico in lui, come se le sue interpretazioni non derivassero da un'analisi della realtà ma piuttosto da un mondo irreale popolato da incubi, da visioni oniriche. Preferisco comunque il compositore al pianista : il secondo è troppo legato a queste continue paure, il primo è un musicista dotato di qualità superiori. In ogni caso siamo in presenza di uno dei pianisti più originali in senso assoluto: prendiamo ad esempio la sua interpretazione del Valzer in re bem. di Chopin, che conosco molto bene nella versione lasciata da altri due grandi pianisti, Rubinstein e Hofmann; Rubinstein è molto elegante, sensuale, ma quando ascolto Rachmaninov non posso letteralemte stare fermo, devo alzarmi, camminare, pensare. Non so spiegare il perché. La differenza tra Rachmaninov e Rubinstein è in questo caso veramente colossale. Del resto Rachmaninov è oggetto di tante di quelle leggende nel mio paese...
Può raccontarci qualcosa a questo proposito? La figura di Rachmaninov presenta ancora per noi occidentali tanti punti oscuri.
Posso solo riportarle un aneddoto che mi è stato raccontato di recente e che mi sembra indicativo del fondamentale pessimismo di Rachmaninov e della sua convinzione di non essere capito, soprattutto come pianista. In una sua pagina di diario egli racconta di un recital nel quale era riuscito ad esprimere tutto se stesso, tutto ciò che intendeva dire come pianista e come interprete; una serata di quelle che capitano una o due volte nella vita. Al termine del concerto la moglie entra in camerino e gli dice "Bravo, bravo, ma adesso vestiti e andiamo via". E il vecchio Pope venuto a trovarlo: "Bravissimo, ma perché non hai suonato il mio preludio preferito... Taan,Taan,Taaaaan..."
Penso sia uno di quei momenti frustranti che ogni artista deve sopportare quando è circondato da gente incompetente. E poi quel preludio...immagino che Rachmaninov avrà qualche volta maledetto il momento in cui gli era venuta l'ispirazione per quelle tre note. Mi viene in mente di quella volta che Hofmann, stufo di sentirsi richiedere il Preludio come bis, attaccò le famose tre note e poi continuò con la Fantasia-Improvviso di Chopin nella stessa tonalità. Cosa ne pensa delle registrazioni di Hofmann?
Alcune sono interessanti ma Hofmann non era nessuno al confronto di Gieseking.
Qual'è l'origine di questo suo amore per Gieseking, un pianista che è molto lontano dalla tradizione slava?
Ho ascoltato praticamente tutte le incisioni di Gieseking e devo dire che si tatta di un pianista che su di me ha avuto una influenza enorme. Mi ha colpito innanzitutto il fatto che in una stessa persona possano coesistere così tante qualità diverse, la sua classe, un gusto ideale per la musica, una grandissima naturalezza. La naturalezza traspare da ogni nota e poi la qualità del suono... è semplicemente meravigliosa. La stessa qualità l'ho percepita solamente in Richter, ma in alcuni determinati momenti.
Ne ho concluso che Gieseking doveva essere un genio oppure doveva essere arrivato, come dire, a un altissimo livello di saggezza interiore. Il suo fraseggio è irripetibile, quasi sacrale, al di sopra di ogni tipo di tecnica.
Gieseking era davvero un pianista "naturale", con un repertorio vastissimo, e dedicava relativamente poco tempo allo studio. Lei si considera appartenente a questa tipologia?
Purtroppo (o per fortuna?) non sono un pianista "naturale" in quel senso. Sia che si tratti di una breve composizione che di un Concerto di Brahms, devo capire e studiare ogni nota. Esistono cento modi di interpretare una nota: io devo passare tre o quattro ore al giorno a pensare e il momento più bello arriva quando finalmente si apre uno spiraglio e si arriva a comprendere l'armonia globale della composizione.
Ascoltando all'epoca del Concorso Chopin la sua interpretazione del Valzer in re bem. op.64 n.1 mi era sembrato che lei volesse sottolineare il lato teatrale, quasi umoristico di quel pezzo, come se ne cogliesse l'aspetto di puro divertimento sonoro...
Pensi che la stessa osservazione mi è stata fatta da alcuni colleghi e amici musicisti giapponesi. Non sono assolutamente d'accordo, o almeno non è mia intenzione sottolineare le caratteristiche di cui lei ha parlato. Diciamo piuttosto che io cerco in ogni pezzo di musica l'elemento vitale che è sempre presente; la teatralità e il gioco sono elementi molto importanti ma per me è difficile separarli dal resto, forse lo può fare Horowitz.
A parte Richter, quali altri pianisti viventi la interessano, anche tra i giovani?
Non posso trattenermi dal rispondere che per me il più grande pianista vivente è ... Herbert von Karajan. E'un musicista totale che può rivelare qualsiasi cosa anche di fronte a uno spartito pianistico. Scherzi a parte, penso che oggi il più grande pianista sia Michelangeli; Richter non è più quello di cinque-dieci anni fa mentre ascoltando Michelangeli il livello è rimasto inalterato ... si sente sempre questa sua grande saggezza ed esperienza. Naturalmente sto parlando di pianisti-musicisti. Ci sono tanti pianisti che magari suonano più velocemente o più forte, ma tutto questo non mi imteressa. Per me Michelangeli è e rimane un grande esempio.
Quali autori o quale periodo storico vorrebbe maggiormente approfondire?
In questo momento mi dedico particolarmente a Scarlatti e a Bach.
Trovo che Scarlatti sia l'impersonificazione della musica italiana.
E Poulenc, che ha rappresentato una parte cospicua di un suo recital milanese recente?
E'stato un grande piacere studiare Poulenc: è un autore al di fuori di ogni convenzione e pieno di cose inaspettate. Certo è molto più teatrale e immediato di Chopin!
L'altra sera lei ha interpretato cinque sonate di Scarlatti che sono tra le più eseguite dai pianisti "storici". Si tratta di una scelta casuale?
In un certo senso si. Scarlatti ha composto moltissimo ma non tutte le sonate sono allo stesso livello. Quelle che ho scelto sono le più geniali e le più affini al mio gusto. Michelangeli è un interprete straordinario di Scarlatti, un modello di gusto. Ma la mia visione di Scarlatti è ancora diversa.
Mi sembra doveroso concludere questo colloquio con un accenno al Concorso Chopin. Lei pensa che in genere a un concorso il candidato debba osservare una certa linea "accademica" e quindi rinunciare un po' a se stesso? E non le sembra che al Concorso Chopin si voglia oggi cercare di premiare più l'originalità che il rispetto della tradizione?
Il Concorso Chopin si differenzia da sempre da tutte le altre competizioni pianistiche. Neanche una volta la giuria ha scelto un candidato non meritevole del primo premio e se si vuole fare riferimento al caso Pogorelich, devo dire che in realtà la giuria ha ratificato la vittoria di Pogorelich nel momento in cui ha lasciato che divampasse la famosa questione che ha diviso il pubblico. A proposito di Pogorelich devo dire che mi sembra un pianista di grande talento, anche se non sono del tutto d'accordo con le sue concezioni interpretative. Ma tornando alla sua domanda, trovo che non necessariamente il candidato si debba legare a una linea di condotta prestabilita; ciò che io ho dato al concorso è stato il frutto di un anno di studio e di lavoro sulle opere che dovevo presentare, nient'altro. Per quanto riguarda l'originalità devo ammettere che forse una volta si premiava di più la normalità: Bella Davidovich o Halina Czerny-Stefanska ad esempio. Oggi direi però che si cerca l'individualità piuttosto che l'originalità fine a se stessa. Pensiamo ai grandi pianisti laureatisi negli ultimi trent'anni: la Argerich, Pollini ...nonostante Pollini...beh,lasciamo perdere.
Ma la nostra intervista, svoltasi nell'albergo milanese in cui Bunin era ospite, voleva evitare rigorosamente qualsiasi accenno alla vita privata del giovane maestro e concentrare il più possibile il dialogo sulle origini della spiccata individualità artistica di Bunin, origini che abbiamo cercato di mettere a fuoco attraverso un paziente sondaggio e l'altrettanto paziente disponibilità di Milena Borromeo, che ha reso possibile grazie alla sua opera di traduzione uno scambio di idee altrimenti irrealizzabile.
Come si è svolta la sua educazione pianistica?
Direi che è iniziata in maniera molto tradizionale, ma non si è conclusa in maniera altrettanto tradizionale (a dire il vero non si è conclusa affatto). Ho iniziato gli studi in una delle scuole più importanti dell'Unione Sovietica, o che almeno era considerata tale quindici anni fa: la Scuola Centrale di Musica a Mosca. E' una scuola dove all'età di sei o sette anni si viene indirizzati a un'approccio alla musica davvero totalizzante, senza alcun insegnamento collaterale. E'un tipo di approccio molto professionale, che non è certo adatto per i "musicisti da salotto" o per chi in genere non prende le cose sul serio. Naturalmente anche alla Scuola non tutti gli insegnamenti erano allo stesso livello, ma la media era eccellente. A parte ciò, devo dire che l'influenza maggiore sulla mia formazione musicale l'ha avuta mia madre, che ha un curriculum di studi di alto livello e soprattutto una sua spiccata personalità di interprete che ha significato moltissimo per me. Devo aggiungere che una parte considerevole delle mie ore di studio sono state sempre dedicate all'ascolto delle grandi incisioni storiche - potevo disporre di una discoteca assai fornita - mentre raramente andavo ad assistere ad esecuzioni dal vivo.
Quali sono i pianisti sovietici che l'hanno maggiormante influenzata durante questi ascolti discografici?
Innanzituto mio nonno, Heinrich Neuhaus; tra i pianisti viventi senza dubbio Richter.
E Rachmaninov?
Penso che Rachmaninov come interprete fosse essenzialmente un neoromantico. C'è sempre qualcosa di diabolico in lui, come se le sue interpretazioni non derivassero da un'analisi della realtà ma piuttosto da un mondo irreale popolato da incubi, da visioni oniriche. Preferisco comunque il compositore al pianista : il secondo è troppo legato a queste continue paure, il primo è un musicista dotato di qualità superiori. In ogni caso siamo in presenza di uno dei pianisti più originali in senso assoluto: prendiamo ad esempio la sua interpretazione del Valzer in re bem. di Chopin, che conosco molto bene nella versione lasciata da altri due grandi pianisti, Rubinstein e Hofmann; Rubinstein è molto elegante, sensuale, ma quando ascolto Rachmaninov non posso letteralemte stare fermo, devo alzarmi, camminare, pensare. Non so spiegare il perché. La differenza tra Rachmaninov e Rubinstein è in questo caso veramente colossale. Del resto Rachmaninov è oggetto di tante di quelle leggende nel mio paese...
Può raccontarci qualcosa a questo proposito? La figura di Rachmaninov presenta ancora per noi occidentali tanti punti oscuri.
Posso solo riportarle un aneddoto che mi è stato raccontato di recente e che mi sembra indicativo del fondamentale pessimismo di Rachmaninov e della sua convinzione di non essere capito, soprattutto come pianista. In una sua pagina di diario egli racconta di un recital nel quale era riuscito ad esprimere tutto se stesso, tutto ciò che intendeva dire come pianista e come interprete; una serata di quelle che capitano una o due volte nella vita. Al termine del concerto la moglie entra in camerino e gli dice "Bravo, bravo, ma adesso vestiti e andiamo via". E il vecchio Pope venuto a trovarlo: "Bravissimo, ma perché non hai suonato il mio preludio preferito... Taan,Taan,Taaaaan..."
Penso sia uno di quei momenti frustranti che ogni artista deve sopportare quando è circondato da gente incompetente. E poi quel preludio...immagino che Rachmaninov avrà qualche volta maledetto il momento in cui gli era venuta l'ispirazione per quelle tre note. Mi viene in mente di quella volta che Hofmann, stufo di sentirsi richiedere il Preludio come bis, attaccò le famose tre note e poi continuò con la Fantasia-Improvviso di Chopin nella stessa tonalità. Cosa ne pensa delle registrazioni di Hofmann?
Alcune sono interessanti ma Hofmann non era nessuno al confronto di Gieseking.
Qual'è l'origine di questo suo amore per Gieseking, un pianista che è molto lontano dalla tradizione slava?
Ho ascoltato praticamente tutte le incisioni di Gieseking e devo dire che si tatta di un pianista che su di me ha avuto una influenza enorme. Mi ha colpito innanzitutto il fatto che in una stessa persona possano coesistere così tante qualità diverse, la sua classe, un gusto ideale per la musica, una grandissima naturalezza. La naturalezza traspare da ogni nota e poi la qualità del suono... è semplicemente meravigliosa. La stessa qualità l'ho percepita solamente in Richter, ma in alcuni determinati momenti.
Ne ho concluso che Gieseking doveva essere un genio oppure doveva essere arrivato, come dire, a un altissimo livello di saggezza interiore. Il suo fraseggio è irripetibile, quasi sacrale, al di sopra di ogni tipo di tecnica.
Gieseking era davvero un pianista "naturale", con un repertorio vastissimo, e dedicava relativamente poco tempo allo studio. Lei si considera appartenente a questa tipologia?
Purtroppo (o per fortuna?) non sono un pianista "naturale" in quel senso. Sia che si tratti di una breve composizione che di un Concerto di Brahms, devo capire e studiare ogni nota. Esistono cento modi di interpretare una nota: io devo passare tre o quattro ore al giorno a pensare e il momento più bello arriva quando finalmente si apre uno spiraglio e si arriva a comprendere l'armonia globale della composizione.
Ascoltando all'epoca del Concorso Chopin la sua interpretazione del Valzer in re bem. op.64 n.1 mi era sembrato che lei volesse sottolineare il lato teatrale, quasi umoristico di quel pezzo, come se ne cogliesse l'aspetto di puro divertimento sonoro...
Pensi che la stessa osservazione mi è stata fatta da alcuni colleghi e amici musicisti giapponesi. Non sono assolutamente d'accordo, o almeno non è mia intenzione sottolineare le caratteristiche di cui lei ha parlato. Diciamo piuttosto che io cerco in ogni pezzo di musica l'elemento vitale che è sempre presente; la teatralità e il gioco sono elementi molto importanti ma per me è difficile separarli dal resto, forse lo può fare Horowitz.
A parte Richter, quali altri pianisti viventi la interessano, anche tra i giovani?
Non posso trattenermi dal rispondere che per me il più grande pianista vivente è ... Herbert von Karajan. E'un musicista totale che può rivelare qualsiasi cosa anche di fronte a uno spartito pianistico. Scherzi a parte, penso che oggi il più grande pianista sia Michelangeli; Richter non è più quello di cinque-dieci anni fa mentre ascoltando Michelangeli il livello è rimasto inalterato ... si sente sempre questa sua grande saggezza ed esperienza. Naturalmente sto parlando di pianisti-musicisti. Ci sono tanti pianisti che magari suonano più velocemente o più forte, ma tutto questo non mi imteressa. Per me Michelangeli è e rimane un grande esempio.
Quali autori o quale periodo storico vorrebbe maggiormente approfondire?
In questo momento mi dedico particolarmente a Scarlatti e a Bach.
Trovo che Scarlatti sia l'impersonificazione della musica italiana.
E Poulenc, che ha rappresentato una parte cospicua di un suo recital milanese recente?
E'stato un grande piacere studiare Poulenc: è un autore al di fuori di ogni convenzione e pieno di cose inaspettate. Certo è molto più teatrale e immediato di Chopin!
L'altra sera lei ha interpretato cinque sonate di Scarlatti che sono tra le più eseguite dai pianisti "storici". Si tratta di una scelta casuale?
In un certo senso si. Scarlatti ha composto moltissimo ma non tutte le sonate sono allo stesso livello. Quelle che ho scelto sono le più geniali e le più affini al mio gusto. Michelangeli è un interprete straordinario di Scarlatti, un modello di gusto. Ma la mia visione di Scarlatti è ancora diversa.
Mi sembra doveroso concludere questo colloquio con un accenno al Concorso Chopin. Lei pensa che in genere a un concorso il candidato debba osservare una certa linea "accademica" e quindi rinunciare un po' a se stesso? E non le sembra che al Concorso Chopin si voglia oggi cercare di premiare più l'originalità che il rispetto della tradizione?
Il Concorso Chopin si differenzia da sempre da tutte le altre competizioni pianistiche. Neanche una volta la giuria ha scelto un candidato non meritevole del primo premio e se si vuole fare riferimento al caso Pogorelich, devo dire che in realtà la giuria ha ratificato la vittoria di Pogorelich nel momento in cui ha lasciato che divampasse la famosa questione che ha diviso il pubblico. A proposito di Pogorelich devo dire che mi sembra un pianista di grande talento, anche se non sono del tutto d'accordo con le sue concezioni interpretative. Ma tornando alla sua domanda, trovo che non necessariamente il candidato si debba legare a una linea di condotta prestabilita; ciò che io ho dato al concorso è stato il frutto di un anno di studio e di lavoro sulle opere che dovevo presentare, nient'altro. Per quanto riguarda l'originalità devo ammettere che forse una volta si premiava di più la normalità: Bella Davidovich o Halina Czerny-Stefanska ad esempio. Oggi direi però che si cerca l'individualità piuttosto che l'originalità fine a se stessa. Pensiamo ai grandi pianisti laureatisi negli ultimi trent'anni: la Argerich, Pollini ...nonostante Pollini...beh,lasciamo perdere.