Verbier Festival 2006
Amadeus, Ottobre 2006
Your browser does not support viewing this document. Click here to download the document.
Recital del pianista Maurizio Pollini
Milano, Teatro alla Scala, 29 Maggio 2006
Radio Popolare
Appuntamento unico, purtroppo, quello di ieri sera con
Maurizio Pollini, che ha tenuto alla Scala un applauditissimo concerto di
beneficenza a favore del Fondo per l’Ambiente Italiano. Pollini si era
presentato qualche mese fa sempre alla Scala con un recital tutto dedicato a
Chopin e per l’altra sera aveva in un primo tempo impaginato un programma di
estremo interesse che si apriva con la Fantasia in do minore di Mozart,
proseguiva con Kreisleriana di
Schumann e terminava con Liszt, del quale venivano eseguite quattro pagine
appartenenti al tardo stile, che Pollini da quasi trent’anni propone nei suoi
recital proprio perché presaghe di grandi sviluppi futuri. Il programma veniva
concluso con la grande Sonata in si minore di Liszt. In realtà all’ultimo
momento il pianista ha preferito sostituire Schumann con un nutrito gruppo di
pagine di Chopin, una scelta che è molto piaciuta alla maggioranza del pubblico
da sempre sensibile, magari a volte a sproposito, al nome del musicista
polacco. Si è trattato di un recital molto impegnativo che ha visto come al
solito Pollini estremamente coinvolto e che ha avuto secondo me il suo punto di
eccellenza nella Sonata di Liszt, eseguita con raro senso del tragico e delle
proporzioni di questo miracoloso lavoro. Numerosi i bis: ancora lo Chopin di
Notturni e Studi, Debussy e la grande sorpresa finale con un tempestoso studio
trascendentale di Liszt, il decimo, che il pianista non aveva mai proposto in
pubblico. E’stata una esecuzione infiammata che però non ha lasciato spazio a
una necessaria distensione del discorso qualora si voglia sottolineare la
portata melodica di certi incisi bellissimi di questo capolavoro lisztiano.
Pollini pare ammettere qui solamente l’implacabilità della scansione ritmica, e
lo fa con un display di pura tecnica
che lascia davvero sbalorditi. Date le condizioni eccellenti di dominio tecnico
di un pianista già sessantaquattrenne ci augureremmo che Pollini possa offrirci
in futuro la sua visione di qualche altro studio di Liszt, magari il quinto e l’ottavo.
Recital del pianista Aldo Ciccolini
Milano, Società dei Concerti, 3 Maggio 2006
The Classic Voice
Per una strana congiuntura storica, dopo un trentennio
durante il quale si ascoltavano spesso grandissimi pianisti ultraottantenni o
addirittura novantenni del calibro di Rubinstein, Arrau, Horowitz, Richter, i
giorni nostri sono avari di avvenimenti concertistici che ci presentano artisti
non solo bravi e famosi ma anche dotati di quell’indefinibile fascino che emana
dalla vecchiaia, un fascino che mescola la saggezza alla bellezza del suono, il
fraseggio un poco retrodatato alla perentorietà che deriva da una grandissima
esperienza accumulata.
Aldo Ciccolini è oggi rimasto il solo pianista ultraottantenne di rinomanza internazionale a calcare i palcoscenici di tutto il mondo, un pianista particolarmente amato in Francia, dove nel 1971 ha acquisito la nazionalità, e in Italia, suo paese di origine e di formazione.
In questo periodo il pianista sta presentando al pubblico italiano un programma raffinato che concede un ovvio omaggio a Mozart, rende grazie al pianismo franco-belga di Franck e Ravel e si concede in maniera non indifferente al fascino della musica di De Falla. Se la celebre Sonata in la maggiore di Mozart è uscita dalle mani di Ciccolini forse un po’ troppo leziosa rispetto al gusto del nostro tempo, la lettura del celebre Preludio, Corale e Fuga è stata di altissimo livello, mentre il pianista si è lasciato andare al fascino dei ricordi nelle rapinose Valse nobles et sentimentales. La perpetua curiosità del pianista e la sua poderosa e articolatissima tecnica gli hanno permesso poi di immergersi nel virtuosismo terrificante della Fantasia Bètica di De Falla, pagina che nessuno specialista di musica iberica sa rendere con altrettanta graniticità. A De Falla il pianista ha dedicato anche l’interpretazione di quattro pezzi di genere e dell’ultimo trascinante bis, quella Danza del fuoco nella quale Ciccolini riesce pure a ricreare l’indimenticabile impatto del vecchio Rubinstein, con tanto di accordi calati da (meno) vertiginose altezze.
Aldo Ciccolini è oggi rimasto il solo pianista ultraottantenne di rinomanza internazionale a calcare i palcoscenici di tutto il mondo, un pianista particolarmente amato in Francia, dove nel 1971 ha acquisito la nazionalità, e in Italia, suo paese di origine e di formazione.
In questo periodo il pianista sta presentando al pubblico italiano un programma raffinato che concede un ovvio omaggio a Mozart, rende grazie al pianismo franco-belga di Franck e Ravel e si concede in maniera non indifferente al fascino della musica di De Falla. Se la celebre Sonata in la maggiore di Mozart è uscita dalle mani di Ciccolini forse un po’ troppo leziosa rispetto al gusto del nostro tempo, la lettura del celebre Preludio, Corale e Fuga è stata di altissimo livello, mentre il pianista si è lasciato andare al fascino dei ricordi nelle rapinose Valse nobles et sentimentales. La perpetua curiosità del pianista e la sua poderosa e articolatissima tecnica gli hanno permesso poi di immergersi nel virtuosismo terrificante della Fantasia Bètica di De Falla, pagina che nessuno specialista di musica iberica sa rendere con altrettanta graniticità. A De Falla il pianista ha dedicato anche l’interpretazione di quattro pezzi di genere e dell’ultimo trascinante bis, quella Danza del fuoco nella quale Ciccolini riesce pure a ricreare l’indimenticabile impatto del vecchio Rubinstein, con tanto di accordi calati da (meno) vertiginose altezze.
Verbier Festival 2005
Amadeus, Settembre 2005
Your browser does not support viewing this document. Click here to download the document.
Verbier Festival 2005
The Classic Voice, Settembre 2005
Giunto al suo dodicesimo anno di
svolgimento, il Festival di Verbier sta arricchendo sempre più le sue proposte abbinando
al tradizionale punto di forza – che è quello di proporre inediti accostamenti
tra grandi personalità del concertismo internazionale – il gusto per la diffusione
di un repertorio che si estende al di fuori dei confini usuali.
Quest’anno l’assenza di Martha Argerich non ci ha impedito di assistere a concerti importanti con artisti del calibro di James Levine, direttore principale dell’orchestra giovanile del Festival patrocinata dall’UBS, di Evgeny Kissin, Thomas Quasthoff, Gidon Kremer, Yuri Bashmet, Lynn Harrell e Salvatore Accardo, primo famoso italiano ad avere accettato quest’anno il grado di coinvolgimento che il festival richiede. Ma grandi emozioni le danno altri giovani interpreti già molto famosi come i violinisti Joshua Bell, Julian Rachlin, Leonidas Kavakos e Ilya Gringolts, i pianisti Golan e Angelich, i violoncellisti Gary Hoffman, Dimitry Kouzov e Jian Wang
Al nostro arrivo forse l’appuntamento più coinvolgente: il ciclo dei Dichterliebe di Schumann e i Canti op.121 di Brahms proposti dal grande Quasthoff accompagnato da Elena Bashkirova. Lo stesso Quasthoff ha mandato letteralmente in estasi il pubblico nell’ultima parte del concerto del 6 agosto, interpretando “Ich habe genug”, uno dei luoghi bachiani di più intensa espressività.
Un recital di Arcadi Volodos ha raccolto il pubblico numeroso dei fan di questo pianista, e altrettanto piena era la sala per il Requiem di Verdi diretto da Levine. Ma tutti gli altri appuntamenti cameristici con i musicisti citati più sopra erano del massimo interesse.
La full immersion di musica che già si poteva godere negli anni passati, partecipando da mattina a sera a lezioni all’Accademia, appuntamenti in tarda mattinata ai recital alla moderna Eglise, prove generali, incontri culturali nel pomeriggio e infine all’appuntamento serale alle 19 in punto, quest’anno si arricchiva di ulteriori proposte che rendevano spesso imbarazzante le scelte in alternativa tra loro. Abbiamo dovuto ad esempio tralasciare un interessante ciclo serale dedicato all’integrale delle Sonate di Beethoven proposto dall’ottimo Garrick Ohlsson (Premio Chopin nel ’70) per poter seguire i grandi concerti alla Salle Medran.
Pochi ancora gli spettatori italiani : per tutti i motivi esposti in precedenza ci sembra ancora strano che gli appassionati di musica nostrani non frequentino numerosi questo appuntamento musicale, che regala emozioni difficilmente replicabili altrove e che richiede solamente qualche ora di viaggio dalle località del nostro settentrione.
Quest’anno l’assenza di Martha Argerich non ci ha impedito di assistere a concerti importanti con artisti del calibro di James Levine, direttore principale dell’orchestra giovanile del Festival patrocinata dall’UBS, di Evgeny Kissin, Thomas Quasthoff, Gidon Kremer, Yuri Bashmet, Lynn Harrell e Salvatore Accardo, primo famoso italiano ad avere accettato quest’anno il grado di coinvolgimento che il festival richiede. Ma grandi emozioni le danno altri giovani interpreti già molto famosi come i violinisti Joshua Bell, Julian Rachlin, Leonidas Kavakos e Ilya Gringolts, i pianisti Golan e Angelich, i violoncellisti Gary Hoffman, Dimitry Kouzov e Jian Wang
Al nostro arrivo forse l’appuntamento più coinvolgente: il ciclo dei Dichterliebe di Schumann e i Canti op.121 di Brahms proposti dal grande Quasthoff accompagnato da Elena Bashkirova. Lo stesso Quasthoff ha mandato letteralmente in estasi il pubblico nell’ultima parte del concerto del 6 agosto, interpretando “Ich habe genug”, uno dei luoghi bachiani di più intensa espressività.
Un recital di Arcadi Volodos ha raccolto il pubblico numeroso dei fan di questo pianista, e altrettanto piena era la sala per il Requiem di Verdi diretto da Levine. Ma tutti gli altri appuntamenti cameristici con i musicisti citati più sopra erano del massimo interesse.
La full immersion di musica che già si poteva godere negli anni passati, partecipando da mattina a sera a lezioni all’Accademia, appuntamenti in tarda mattinata ai recital alla moderna Eglise, prove generali, incontri culturali nel pomeriggio e infine all’appuntamento serale alle 19 in punto, quest’anno si arricchiva di ulteriori proposte che rendevano spesso imbarazzante le scelte in alternativa tra loro. Abbiamo dovuto ad esempio tralasciare un interessante ciclo serale dedicato all’integrale delle Sonate di Beethoven proposto dall’ottimo Garrick Ohlsson (Premio Chopin nel ’70) per poter seguire i grandi concerti alla Salle Medran.
Pochi ancora gli spettatori italiani : per tutti i motivi esposti in precedenza ci sembra ancora strano che gli appassionati di musica nostrani non frequentino numerosi questo appuntamento musicale, che regala emozioni difficilmente replicabili altrove e che richiede solamente qualche ora di viaggio dalle località del nostro settentrione.
Concerti del pianista Maurizio Pollini
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Muti
Milano, Teatro degli Arcimboldi, 15 Novembre 2004
Milano, Società del Quartetto, 23 Novembre 2004
The Classic Voice
Tutti coloro che si erano rassegnati a seguire l’evoluzione
dell’arte di Pollini solamente attraverso le trasmissioni satellitari che ci
riportavano importanti apparizione del pianista nei grandi teatri di Parigi o
di Vienna, si sono rifatti ampiamente grazie a un paio di appuntamenti che sono
risultati essere il fulcro della stagione concertistica milanese sul finire di
novembre.
Pollini mancava da diverso tempo a Milano e sembrava quasi che l’acustica degli Arcimboldi avesse potuto costituire un motivo di allontanamento dai palcoscenici nostrani. La congettura è stata vistosamente smentita da un nuovo incontro tra Pollini e Muti, complice l’inaugurazione della nuova stagione della Filarmonica della Scala. I due artisti hanno presentato al pubblico il Concerto K.467 di Mozart, terzo elemento di una collaborazione nel nome di Amadeus che si era già attuata nel 2000 con il K.488 e che risaliva addirittura al 1969 con una non dimenticata esecuzione del K.482 al Teatro Nuovo da parte degli allora giovanissimi musicisti.
La lettura del concerto mozartiano è stata di grande livello su entrambi i fronti e si è risolta in un sostanziale accordo tra Pollini e Muti nel sottolineare il carattere sinfonico dell’opera, anche attraverso l’impiego di un’orchestra di robusto impianto. Pollini ha utilizzato – come è solito fare da diversi anni – due cadenze scritte da Sciarrino per questo Concerto che come è noto è purtroppo privo di interventi originali da parte di Mozart. La scelta in questione non ci è parsa particolarmente azzeccata ma è in linea con i convincimenti del pianista, che non ama in questi casi le pur indovinatissime contaminazioni dovute alla penna di un Busoni, a suo parere troppo personali e stilisticamente lontane dalla scrittura mozartiana.
Il pianista si è presentato dopo una settimana al pubblico della Società del Quartetto, un pubblico in gran parte diverso da quello che ottusamente aveva fischiato nel 1972 il famoso intervento antiamericano letto da Pollini prima di iniziare un recital che poi non ebbe luogo. 32 anni di “esilio” sono per fortuna stati sufficienti per sanare un dissidio epocale e per permetterci di riascoltare dalle mani del pianista la Sonata op.106 di Beethoven, un testo sul quale Pollini indaga incessantemente almeno da 50 anni. Lettura meno infallibile dal punto di vista tecnico rispetto a quella di 20 o 30 anni fa, ma sempre straordinariamente intensa ed estremamente sofferta, così come di grande portata emotiva oltre che intellettuale è stata l’esecuzione dei pezzi per clarinetto di Berg che il pianista ha offerto nella stessa serata coadiuvando il bravissimo Alain Damiens.
Pollini mancava da diverso tempo a Milano e sembrava quasi che l’acustica degli Arcimboldi avesse potuto costituire un motivo di allontanamento dai palcoscenici nostrani. La congettura è stata vistosamente smentita da un nuovo incontro tra Pollini e Muti, complice l’inaugurazione della nuova stagione della Filarmonica della Scala. I due artisti hanno presentato al pubblico il Concerto K.467 di Mozart, terzo elemento di una collaborazione nel nome di Amadeus che si era già attuata nel 2000 con il K.488 e che risaliva addirittura al 1969 con una non dimenticata esecuzione del K.482 al Teatro Nuovo da parte degli allora giovanissimi musicisti.
La lettura del concerto mozartiano è stata di grande livello su entrambi i fronti e si è risolta in un sostanziale accordo tra Pollini e Muti nel sottolineare il carattere sinfonico dell’opera, anche attraverso l’impiego di un’orchestra di robusto impianto. Pollini ha utilizzato – come è solito fare da diversi anni – due cadenze scritte da Sciarrino per questo Concerto che come è noto è purtroppo privo di interventi originali da parte di Mozart. La scelta in questione non ci è parsa particolarmente azzeccata ma è in linea con i convincimenti del pianista, che non ama in questi casi le pur indovinatissime contaminazioni dovute alla penna di un Busoni, a suo parere troppo personali e stilisticamente lontane dalla scrittura mozartiana.
Il pianista si è presentato dopo una settimana al pubblico della Società del Quartetto, un pubblico in gran parte diverso da quello che ottusamente aveva fischiato nel 1972 il famoso intervento antiamericano letto da Pollini prima di iniziare un recital che poi non ebbe luogo. 32 anni di “esilio” sono per fortuna stati sufficienti per sanare un dissidio epocale e per permetterci di riascoltare dalle mani del pianista la Sonata op.106 di Beethoven, un testo sul quale Pollini indaga incessantemente almeno da 50 anni. Lettura meno infallibile dal punto di vista tecnico rispetto a quella di 20 o 30 anni fa, ma sempre straordinariamente intensa ed estremamente sofferta, così come di grande portata emotiva oltre che intellettuale è stata l’esecuzione dei pezzi per clarinetto di Berg che il pianista ha offerto nella stessa serata coadiuvando il bravissimo Alain Damiens.
Festival di Verbier 2004
Amadeus, Settembre 2004
Giunto alla sua undicesima edizione, il Festival che Martin
Engstroem ha creato e dirige nella cittadina sciistica di Verbier, nelle alpi svizzere,
è arrivato a uno stadio di maturità e a una ricchezza di programmi che fa
invidia a molti altri appuntamenti blasonati dell’estate europea. I motivi
dello straordinario interesse di questi concerti che si tengono nella seconda
metà del mese di Luglio sono essenzialmente due : la concentrazione di artisti
del massimo livello che si esibiscono sia da soli che – nella musica da camera
- in combinazioni estemporanee e la presenza di una entusiasta orchestra di
giovani che suonano sotto la guida del Direttore Musicale James Levine.
Anche quest’anno siamo stati investiti da una contagiosa orgia di incontri che permettevano di ascoltare grandi capolavori dalle mani di pianisti come la Argerich, Kissin, Thibaudet, Andsnes, da giovani e affermati violinisti (Bell, Repin) e da altri famosi solisti come Bashmet, Quasthoff, Harrell e i fratelli Capuçon, impegnati in trii, quartetti e quintetti che sono non solamente di raro ascolto ma spesso affidati a compagini molto meno prestigiose.
Dei quattro appuntamenti con l’Orchestra (due dei quali con Gergiev e Temirkanov), uno ci ha particolarmente impressionato, sia per il grado di perizia dei singoli elementi e dell’assieme che per l’entusiasmo con il quale i ragazzi del Festival hanno seguito il parco gesto di Levine, attingendo a risultati che davvero nulla hanno da invidiare alle grandi orchestre in carriera. Il programma del concerto del 29 Luglio non era dei più facili : si iniziava con il Till Eulenspiegel di Strauss, una pagina meravigliosa che evoca subito le immagini storiche di un Furtwaengler o i preziosismi sonori di Karajan e che qui veniva eseguito con un piglio irrefrenabile e grande dispiego di forza. All’euforia straussiana faceva da contrasto l’inquietudine schoenberghiana di Erwartung, dove protagonista assoluta è stata la affascinante voce di Anja Silja, la grande cantante wagneriana che ha interpretato il difficilissimo ruolo con una straordinaria immedesimazione, coinvolgendo l’orchestra nell’allucinato e delirante itinerario che lega indissolubilmente musica e psicoanalisi in questo capolavoro espressionista.
Finale classico con la “grande” nona Sinfonia di Schubert, tante volte ascoltata qui da noi soprattutto grazie alle numerose esecuzioni che Riccardo Muti ha diretto con la Filarmonica della Scala. Le differenze tra una grande orchestra di professionisti e l’orchestra giovanile di Verbier possono essere colte nei dettagli, questo è vero, ma la mancanza a volte di precisione è ampiamente compensata dall’entusiasmo e dalla adesione dei musicisti, letteralmente catalizzati dalla presenza di Levine. E’ un piacere osservare – cosa che non accade spesso con le orchestre più famose – gli occhi degli strumentisti puntati verso il Direttore, i sorrisi di compiacimento durante i passaggi melodicamente più scoperti, la concentrazione massima in quelli più complicati, insomma la partecipazione totale a un avvenimento che non ha nulla a che vedere con la routine.
E lo stesso spirito degli orchestrali finisce per contagiare anche i solisti famosi più sopra menzionati, che si dedicano con lo stesso entusiasmo alla musica d’assieme.
Anche questo è il miracolo-Verbier.
Anche quest’anno siamo stati investiti da una contagiosa orgia di incontri che permettevano di ascoltare grandi capolavori dalle mani di pianisti come la Argerich, Kissin, Thibaudet, Andsnes, da giovani e affermati violinisti (Bell, Repin) e da altri famosi solisti come Bashmet, Quasthoff, Harrell e i fratelli Capuçon, impegnati in trii, quartetti e quintetti che sono non solamente di raro ascolto ma spesso affidati a compagini molto meno prestigiose.
Dei quattro appuntamenti con l’Orchestra (due dei quali con Gergiev e Temirkanov), uno ci ha particolarmente impressionato, sia per il grado di perizia dei singoli elementi e dell’assieme che per l’entusiasmo con il quale i ragazzi del Festival hanno seguito il parco gesto di Levine, attingendo a risultati che davvero nulla hanno da invidiare alle grandi orchestre in carriera. Il programma del concerto del 29 Luglio non era dei più facili : si iniziava con il Till Eulenspiegel di Strauss, una pagina meravigliosa che evoca subito le immagini storiche di un Furtwaengler o i preziosismi sonori di Karajan e che qui veniva eseguito con un piglio irrefrenabile e grande dispiego di forza. All’euforia straussiana faceva da contrasto l’inquietudine schoenberghiana di Erwartung, dove protagonista assoluta è stata la affascinante voce di Anja Silja, la grande cantante wagneriana che ha interpretato il difficilissimo ruolo con una straordinaria immedesimazione, coinvolgendo l’orchestra nell’allucinato e delirante itinerario che lega indissolubilmente musica e psicoanalisi in questo capolavoro espressionista.
Finale classico con la “grande” nona Sinfonia di Schubert, tante volte ascoltata qui da noi soprattutto grazie alle numerose esecuzioni che Riccardo Muti ha diretto con la Filarmonica della Scala. Le differenze tra una grande orchestra di professionisti e l’orchestra giovanile di Verbier possono essere colte nei dettagli, questo è vero, ma la mancanza a volte di precisione è ampiamente compensata dall’entusiasmo e dalla adesione dei musicisti, letteralmente catalizzati dalla presenza di Levine. E’ un piacere osservare – cosa che non accade spesso con le orchestre più famose – gli occhi degli strumentisti puntati verso il Direttore, i sorrisi di compiacimento durante i passaggi melodicamente più scoperti, la concentrazione massima in quelli più complicati, insomma la partecipazione totale a un avvenimento che non ha nulla a che vedere con la routine.
E lo stesso spirito degli orchestrali finisce per contagiare anche i solisti famosi più sopra menzionati, che si dedicano con lo stesso entusiasmo alla musica d’assieme.
Anche questo è il miracolo-Verbier.