Mozart - Le nozze di Figaro
Harding,Keenlyside,Kleiter,Feola,Micheletti,Stoyanova,reg.Strehler
Teatro alla Scala, 26 Giugno 2021
Riccardo Muti ha recentemente ricordato come il proprio lavoro sulle Nozze di Figaro in compagnia di Strehler abbia rappresentato uno dei momenti più felici di tutta la sua carriera teatrale. E a ben donde, perché l’allestimento Strehler-Frigerio-Squarciapino, che debuttò alla Scala il 19 Maggio del 1981, è rimasto tra le cose più belle che si sono viste e ascoltate in teatro negli ultimi quarant’anni. Allestimento che era stato ripreso per ben otto volte tra il 1982 e il 2012 e che ha oggi nuovamente trionfato dopo l’infelice intermezzo del 2016, quando era andato in scena un imbarazzante spettacolo firmato da Frederic Wake-Walker. Poco o nulla è cambiato oggi, con la ripresa della regia dovuta a Marina Bianchi, con il nuovo pubblico che ride a certe battute del libretto di Da Ponte e con il rinnovato stupore e apprezzamento per le scene di Ezio Frigerio che seguono fedelmente le straordinarie simmetrie del soggetto e della musica mozartiana.
Cambiano ovviamente sia i direttori che i cantanti, e dopo i sei cicli di rappresentazioni guidate da Muti fino al 2002 e ai tre affidati a Korsten, Antonini e Battistoni, era oggi la volta di un direttore eccellente come Daniel Harding. Costui aveva letteralmente scosso la sensibilità del pubblico milanese nel lontano 1998 – aveva ventitré anni ! - presentando nella nuova sede del Piccolo Teatro un Don Giovanni ripensato drasticamente in chiave filologica e allontanandosi quindi da una tradizione che bene o male reggeva le esecuzioni della trilogia dapontiana fin da tempi molto remoti. Fu davvero uno schock ascoltare i primi accordi che partivano dal re minore così secchi, per nulla prolungati come era prassi romantica, e proseguire attraverso una narrazione prosciugata ma alquanto drammatica.
Ci si aspettava quindi da lui una lettura delle Nozze altrettanto rivoluzionaria, anche se il suo incontro con l’opera mozartiana era già avvenuto fin dai primi anni duemila, ma non alla Scala. Da questo punto di vista la sua concertazione è stata piuttosto deludente, sia perché la visione d’assieme di un direttore oramai quarantaseienne è oggi lontana dai fremiti giovanili che caratterizzavano in genere il suo approccio, sia perché in diversi momenti - ad esempio gli attacchi molto comodi che si ascoltavano alla fine dei recitativi - si perdeva il lato vitalistico di una scrittura musicale che davvero descrive alla perfezione i ritmi della folle journée di Beaumarchais.
Ovviamente da una personalità del suo calibro non ci si poteva attendere una lettura distratta o mancante di approfondimenti della partitura mozartiana. Ma il contesto musicale generale, forse anche appesantito dall’inserimento delle due arie “accessorie” di Marcellina e Bartolo, è risultato alla fine piuttosto appesantito e non del tutto in linea con le premesse registiche.
Gran parte del cast si è come adagiato su questo tipo di visione, tranne che nel caso della vera sorpresa della serata che consisteva nell’eccellenza dell’interpretazione vocale e scenica di Luca Micheletti nel ruolo principale. Un Figaro, il suo, non solamente egregio dal punto di vista teatrale ma anche e soprattutto notevolissimo grazie a una musicalità di primo piano sostenuta da una impostazione vocale perfetta. Nelle preferenze del pubblico è risultata in successione la Susanna di Rosa Feola, lirica ma anche volitiva come da tradizione. La stessa tradizione che ha sostenuto le prestazioni di Julia Kleiter, Contessa elegante e “democratica” e di Svetlina Stoyanova, Cherubino a volte un po’ troppo impacciato. Come troppo in punta di forchetta era il Conte sussiegoso di Simon Keenlyside . Nei ruoli diciamo così secondari (che secondari non lo sono affatto) si sono segnalati soprattutto la pungente Marcellina di Anna-Doris Capitelli e il Don Bartolo di Andrea Concetti, mentre un poco sottotono è apparsa la mite Barbarina (Caterina Sala). Bruno Casoni ha al solito guidato alla perfezione il Coro nei suoi grandi interventi in partitura e Frédéric Olivieri ha guidato con altrettanta classe le danze che ricordavano già da quei tempi un passato rivissuto in termini di un palpabile rimpianto.
Cambiano ovviamente sia i direttori che i cantanti, e dopo i sei cicli di rappresentazioni guidate da Muti fino al 2002 e ai tre affidati a Korsten, Antonini e Battistoni, era oggi la volta di un direttore eccellente come Daniel Harding. Costui aveva letteralmente scosso la sensibilità del pubblico milanese nel lontano 1998 – aveva ventitré anni ! - presentando nella nuova sede del Piccolo Teatro un Don Giovanni ripensato drasticamente in chiave filologica e allontanandosi quindi da una tradizione che bene o male reggeva le esecuzioni della trilogia dapontiana fin da tempi molto remoti. Fu davvero uno schock ascoltare i primi accordi che partivano dal re minore così secchi, per nulla prolungati come era prassi romantica, e proseguire attraverso una narrazione prosciugata ma alquanto drammatica.
Ci si aspettava quindi da lui una lettura delle Nozze altrettanto rivoluzionaria, anche se il suo incontro con l’opera mozartiana era già avvenuto fin dai primi anni duemila, ma non alla Scala. Da questo punto di vista la sua concertazione è stata piuttosto deludente, sia perché la visione d’assieme di un direttore oramai quarantaseienne è oggi lontana dai fremiti giovanili che caratterizzavano in genere il suo approccio, sia perché in diversi momenti - ad esempio gli attacchi molto comodi che si ascoltavano alla fine dei recitativi - si perdeva il lato vitalistico di una scrittura musicale che davvero descrive alla perfezione i ritmi della folle journée di Beaumarchais.
Ovviamente da una personalità del suo calibro non ci si poteva attendere una lettura distratta o mancante di approfondimenti della partitura mozartiana. Ma il contesto musicale generale, forse anche appesantito dall’inserimento delle due arie “accessorie” di Marcellina e Bartolo, è risultato alla fine piuttosto appesantito e non del tutto in linea con le premesse registiche.
Gran parte del cast si è come adagiato su questo tipo di visione, tranne che nel caso della vera sorpresa della serata che consisteva nell’eccellenza dell’interpretazione vocale e scenica di Luca Micheletti nel ruolo principale. Un Figaro, il suo, non solamente egregio dal punto di vista teatrale ma anche e soprattutto notevolissimo grazie a una musicalità di primo piano sostenuta da una impostazione vocale perfetta. Nelle preferenze del pubblico è risultata in successione la Susanna di Rosa Feola, lirica ma anche volitiva come da tradizione. La stessa tradizione che ha sostenuto le prestazioni di Julia Kleiter, Contessa elegante e “democratica” e di Svetlina Stoyanova, Cherubino a volte un po’ troppo impacciato. Come troppo in punta di forchetta era il Conte sussiegoso di Simon Keenlyside . Nei ruoli diciamo così secondari (che secondari non lo sono affatto) si sono segnalati soprattutto la pungente Marcellina di Anna-Doris Capitelli e il Don Bartolo di Andrea Concetti, mentre un poco sottotono è apparsa la mite Barbarina (Caterina Sala). Bruno Casoni ha al solito guidato alla perfezione il Coro nei suoi grandi interventi in partitura e Frédéric Olivieri ha guidato con altrettanta classe le danze che ricordavano già da quei tempi un passato rivissuto in termini di un palpabile rimpianto.