Il pianoforte razionale e positivistico di Piero Rattalino
All’interno di uno dei suoi innumerevoli articoli di stampo musicale, Piero Rattalino aveva così descritto l’intervento di Arthur Rubinstein in occasione del prestigioso Premio “Una vita per la musica” che gli era stato conferito a Venezia nel 1979 : “La mia vita è stata larga” iniziò l’illustre e anziano premiato, intendendo ovviamente “lunga” nel significato originale spagnolo. Lunga ma anche “larga” nel senso italiano, perché la sommatoria delle esperienze musicali e di vita di Rubinstein era diventata da tempo leggendaria.
Ebbene, con le dovute distanze possiamo oggi affermare che anche la vita di Rattalino è stata “larga” e non solamente per questioni anagrafiche. E’ stata “larga” anche e soprattutto per la vastità dei suoi interessi in campo musicale, storiografico, di questioni interpretative e di prassi esecutiva sul pianoforte. Al di là della mole di suoi scritti, che negli ultimi anni parzialmente facevano tesoro di esperienze già vissute e già comunicate, e soprattutto al di là di quelle che potevano essere preferenze personali su questo o quell’interprete (chi non ha i suoi “preferiti” ?) Rattalino ha rappresentato per una grande parte di musicologi italiani e soprattutto di amatori del genere una guida insostituibile per almeno due motivi. Innanzitutto i suoi scritti critici e musicologici datano a un periodo in cui da noi si leggeva poco o nulla sull’argomento (quanto di noi consideravano il libro di Casella sulla storia del pianoforte come esempio unico di un interesse specifico sull’argomento !). In secondo luogo - e avevo chiarito questo punto con Rattalino stesso quando lo intervistai a proposito del suo libro appena uscito per le edizioni del Saggiatore nel 1982 - l’autore aveva indovinato un approccio molto interessante che consisteva nell’andare a ricavare conclusioni generali partendo dall’esame della scrittura pianistica dei maggiori compositori della Storia e dall’esame dei caratteri distintivi dei lineamenti interpretativi dei grandi strumentisti che quella Storia avevano contribuito a divulgare attraverso i loro concerti e le loro incisioni. Uno sforzo notevole e nella maggior parte dei casi chiarificatore che aveva convinto ed entusiasmato molti suoi lettori, contribuendo a chiarire i lineamenti di una Storia dell’interpretazione che doveva essere ancora scritta.
Questo approccio porterà Rattalino, negli anni, a generalizzare forse troppo il suo metodo, e a prendere posizioni che poi si rivelavano discutibili soprattutto nel caso di alcuni pianisti che non incontravano per un motivo o per l’altro il favore di tutta la critica o di tutto il pubblico. Ma il “metodo”, soprattutto agli inizi, si era rivelato interessantissimo e aveva portato a molte conclusioni eccellenti.
Rattalino non era così noto all’estero come da noi e alcune sue categorizzazioni - una per tutte quella del “pianoforte Biedermeier” - risultavano estranee alla sensibilità di molti cultori del genere, che si rivelavano meno attenti a divisioni e inquadramenti di quel tipo. Allo stesso tempo egli fu uno dei primi commentatori italiani a spostare l’ottica critica tipica di Casella da una direzione eminentemente europeistica e quasi sempre di stampo germanico a una che teneva conto degli esempi interpretativi di grandi pianisti russi che erano emigrati negli Stati Uniti. Per un certo periodo di tempo, però, le posizioni di Harold Schonberg esplicitate attraverso la sua Storia dell’interpretazione pianistica rimasero certamente più aggiornate e fu solamente nel momento in cui la maggior parte dei documenti fonografici storici vennero trasferiti in lp e cd che la visione di Rattalino subì un deciso cambiamento di rotta.
Non alcuni singoli giudizi, soprattutto quelli più recenti, vanno considerati nel novero delle cose indimenticabili. Ma l’approccio, la tendenza si, e oggi perdiamo una voce insostituibile quanto da tenere in alta considerazione ogniqualvolta andiamo ad affrontare qualsiasi argomento attinente a quella Storia di cui Rattalino si è sempre rivelato attento lettore e acuto commentatore. In questo egli ci mancherà moltissimo (recentemente lo incontrai dopo un suo bellissimo intervento milanese sulla musica di Rachmaninov e scambiammo parole rivelatrici sulla qualità di alcuni giovani e già famosi pianisti e pianiste italiane) e i suoi libri, soprattutto quelli della “prima maniera”, ci guideranno sempre nella consultazione e nel giudizio di quegli argomenti che, come era stato nel suo caso, appassionano noi e tanti altri da tutta una vita.
Ebbene, con le dovute distanze possiamo oggi affermare che anche la vita di Rattalino è stata “larga” e non solamente per questioni anagrafiche. E’ stata “larga” anche e soprattutto per la vastità dei suoi interessi in campo musicale, storiografico, di questioni interpretative e di prassi esecutiva sul pianoforte. Al di là della mole di suoi scritti, che negli ultimi anni parzialmente facevano tesoro di esperienze già vissute e già comunicate, e soprattutto al di là di quelle che potevano essere preferenze personali su questo o quell’interprete (chi non ha i suoi “preferiti” ?) Rattalino ha rappresentato per una grande parte di musicologi italiani e soprattutto di amatori del genere una guida insostituibile per almeno due motivi. Innanzitutto i suoi scritti critici e musicologici datano a un periodo in cui da noi si leggeva poco o nulla sull’argomento (quanto di noi consideravano il libro di Casella sulla storia del pianoforte come esempio unico di un interesse specifico sull’argomento !). In secondo luogo - e avevo chiarito questo punto con Rattalino stesso quando lo intervistai a proposito del suo libro appena uscito per le edizioni del Saggiatore nel 1982 - l’autore aveva indovinato un approccio molto interessante che consisteva nell’andare a ricavare conclusioni generali partendo dall’esame della scrittura pianistica dei maggiori compositori della Storia e dall’esame dei caratteri distintivi dei lineamenti interpretativi dei grandi strumentisti che quella Storia avevano contribuito a divulgare attraverso i loro concerti e le loro incisioni. Uno sforzo notevole e nella maggior parte dei casi chiarificatore che aveva convinto ed entusiasmato molti suoi lettori, contribuendo a chiarire i lineamenti di una Storia dell’interpretazione che doveva essere ancora scritta.
Questo approccio porterà Rattalino, negli anni, a generalizzare forse troppo il suo metodo, e a prendere posizioni che poi si rivelavano discutibili soprattutto nel caso di alcuni pianisti che non incontravano per un motivo o per l’altro il favore di tutta la critica o di tutto il pubblico. Ma il “metodo”, soprattutto agli inizi, si era rivelato interessantissimo e aveva portato a molte conclusioni eccellenti.
Rattalino non era così noto all’estero come da noi e alcune sue categorizzazioni - una per tutte quella del “pianoforte Biedermeier” - risultavano estranee alla sensibilità di molti cultori del genere, che si rivelavano meno attenti a divisioni e inquadramenti di quel tipo. Allo stesso tempo egli fu uno dei primi commentatori italiani a spostare l’ottica critica tipica di Casella da una direzione eminentemente europeistica e quasi sempre di stampo germanico a una che teneva conto degli esempi interpretativi di grandi pianisti russi che erano emigrati negli Stati Uniti. Per un certo periodo di tempo, però, le posizioni di Harold Schonberg esplicitate attraverso la sua Storia dell’interpretazione pianistica rimasero certamente più aggiornate e fu solamente nel momento in cui la maggior parte dei documenti fonografici storici vennero trasferiti in lp e cd che la visione di Rattalino subì un deciso cambiamento di rotta.
Non alcuni singoli giudizi, soprattutto quelli più recenti, vanno considerati nel novero delle cose indimenticabili. Ma l’approccio, la tendenza si, e oggi perdiamo una voce insostituibile quanto da tenere in alta considerazione ogniqualvolta andiamo ad affrontare qualsiasi argomento attinente a quella Storia di cui Rattalino si è sempre rivelato attento lettore e acuto commentatore. In questo egli ci mancherà moltissimo (recentemente lo incontrai dopo un suo bellissimo intervento milanese sulla musica di Rachmaninov e scambiammo parole rivelatrici sulla qualità di alcuni giovani e già famosi pianisti e pianiste italiane) e i suoi libri, soprattutto quelli della “prima maniera”, ci guideranno sempre nella consultazione e nel giudizio di quegli argomenti che, come era stato nel suo caso, appassionano noi e tanti altri da tutta una vita.