Concerto dell'Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Robin Ticciati
Milano, 20 Dicembre 2012
Lohengrin
Teatro alla Scala, 7 Dicembre 2012
Concerto della Filarmonica della Scala
Direttore Daniel Barenboim
Mezzosoprano Cecilia Bartoli
Teatro alla Scala, 4 Dicembre 2012
Recital del pianista Maurizio Baglini
Milano, Società dei Concerti, 29 Novembre 2012
Recital del pianista Daniil Trifonov
Milano, Serate Musicali, 27 Novembre 2012
Recital del pianista Andras Schiff
Milano, Società del Quartetto, 13 Novembre 2012
Rigoletto
Teatro alla Scala, 6 Novembre 2012
Il ritorno di Claudio Abbado
Teatro alla Scala, 30 Ottobre 2012
Recital del pianista Evgenij Kissin
Milano, Società dei Concerti, 26 Ottobre 2012
Concerto della Filarmonica della Scala
Direttore Gustavo Dudamel
Pianista Daniel Barenboim
Teatro alla Scala, 25 Ottobre 2012
Recital del pianista Bezhoud Abduraimov
Società dei Concerti, 24 Ottobre 2010
Siegfried
Teatro alla Scala, 23 Ottobre 2012
Bohéme
Teatro alla Scala, 26 Settembre 2012
Festival della Valle d'Itria 2012
Recital dei pianisti Grigori Sokolov e Radu Lupu
Società dei Concerti, 2-9 Maggio 2012
The Classic Voice n.158
Un mese di maggio particolarmente prodigo di appuntamenti ci ha regalato la presenza di due musicisti a buon motivo osannati dal pubblico e dalla critica. Grigori Sokolov e Radu Lupu compiono anche quest’anno la loro visita pastorale nelle sale da concerto europee dimostrando come l’arte del pianoforte possa essere veicolata attraverso forme del tutto differenti tra loro, quasi antitetiche, e allo stesso tempo dirette al raggiungimento di risultati artisticamente eccezionali.
Il programma del recital è quasi sempre inedito nel caso di Sokolov, che si permette di rinnovare il proprio repertorio con una generosità rara tra i colleghi e propone impaginazioni sempre interessanti e piene di significati, in questo caso una Suite di pezzi di Rameau seguita dalla Sonata K.310 di Mozart e dalle Variazioni-Haendel di Brahms. Il pianoforte è stato utilizzato, nei confronti della letteratura barocca, almeno in due maniere distinte ed opposte tra loro. Da un lato la tradizione romantica di amplificazione e irrobustimento delle sonorità, dall’altro la ben più recente pratica messa a punto da due figure carismatiche come la Tureck e Gould negli anni ’50 e diretta a ricreare sul moderno pianoforte le sonorità e l’approccio stilistico originali. Sokolov si rifà certamente a quest’ultima corrente con un lavoro tecnico spaventoso che gli ha permesso di realizzare in maniera straordinaria gli impervi abbellimenti ed evocare le sonorità e i timbri clavicembalistici e clavicordistici. Grande ammirazione, certo, soprattutto le prime volte che lo si ascoltava eseguire Froberger, Byrd e appunto Rameau. L’inclusione delle Variazioni-Haendel di Brahms offriva oggi la possibilità di seguire il cammino di riappropriazione del repertorio barocco da parte dell’800 romantico. Ma siamo sicuri che Brahms intendesse riprendere le sonorità antiche, o più semplicemente volesse ricreare sul pianoforte una “atmosfera”, della quale la sonorità è soltanto una componente ? Mi è parso che l’approccio troppo clavicembalistico abbia nuociuto in qualche punto alla resa della prima parte delle Variazioni, ma si tratta tutto sommato di dettagli, o forse l’impressione è derivata dall’aver ascoltato subito dopo gli Intermezzi op.117, per il quali Sokolov ha dimostrato di saper operare un cambiamento di sonorità davvero impressionante. Lo stesso tipo di “retrodatazione” era a mio parere ascoltabile anche nella Sonata in la minore di Mozart, che è apparsa meno dirompente del solito, spogliata com’era di qualsiasi componente protoromantica, quella che mandava in visibilio Ferruccio Busoni, Alfred Einstein e tutti i sostenitori del Mozart “demoniaco”. E alla fine dei conti il musicista che ne usciva vittoriosamente moderno era proprio il più antico di tutti, quel Rameau in grado di tessere variazioni di attualità straordinaria sul semplice tema de Les Niais de Sologne.
A una settimana di distanza, sempre per la Società dei Concerti di Milano, si poteva assistere a un radicale cambiamento di prospettive ascoltando il recital di Radu Lupu, direi meglio assistendo a una sorta di celebrazione sacra in grado di mettere in crisi gli spiriti più refrattari a qualsiasi tipo di emozione. Nel caso del pianista rumeno sarebbe riduttivo parlare di caratteristiche di tocco e di timbro, peraltro completamente differenti da quelle di Sokolov (e molto più ricche, perché dove quest’ultimo evoca sonorità clavicembalistiche Lupu riproduce una varietà incredibile di effetti orchestrali). Lupu domina come oggi nessun altro non solamente l’arco narrativo integrale delle composizioni da lui interpretate, ma entra nel particolare di un micro-fraseggio che scompone il discorso musicale in particelle, ognuna delle quali va ad assumere un significato emozionale specifico. Anche un profano può capire immediatamente, fin dalla realizzazione del primo arpeggio che apriva l’Improvviso in fa minore di Schubert, la qualità stratosferica del pianismo di Lupu, capace di anticipare appunto dalle prime note di una composizione l’intero significato di tutto quello che seguirà. Così accadeva per il Preludio, Corale e Fuga di Franck, la cui tristezza cosmica pareva veicolata da quell’incipit di quattro note, e per la schubertiana Sonata op.42. L’approccio completamente libero, poetico, così differente dall’analiticità controllatissima di Sokolov, porta spesso nel caso di Lupu alla perdita del controllo tecnico, che lui evidenzia con una smorfia di dolore comprensibilissima e che tuttavia non compromette la resa globale del suo modo di suonare. Sokolov pretende dall’ascoltatore una attenzione vigile e un poco dottorale nei confronti dello svolgimento del discorso, Lupu coinvolge nel profondo, scuote ogni certezza e allo stesso tempo ti mette in comunicazione diretta con l’autore, risultato non da poco in un universo popolato da pianisti più attenti alla ginnastica delle dita che al significato della musica.
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Il programma del recital è quasi sempre inedito nel caso di Sokolov, che si permette di rinnovare il proprio repertorio con una generosità rara tra i colleghi e propone impaginazioni sempre interessanti e piene di significati, in questo caso una Suite di pezzi di Rameau seguita dalla Sonata K.310 di Mozart e dalle Variazioni-Haendel di Brahms. Il pianoforte è stato utilizzato, nei confronti della letteratura barocca, almeno in due maniere distinte ed opposte tra loro. Da un lato la tradizione romantica di amplificazione e irrobustimento delle sonorità, dall’altro la ben più recente pratica messa a punto da due figure carismatiche come la Tureck e Gould negli anni ’50 e diretta a ricreare sul moderno pianoforte le sonorità e l’approccio stilistico originali. Sokolov si rifà certamente a quest’ultima corrente con un lavoro tecnico spaventoso che gli ha permesso di realizzare in maniera straordinaria gli impervi abbellimenti ed evocare le sonorità e i timbri clavicembalistici e clavicordistici. Grande ammirazione, certo, soprattutto le prime volte che lo si ascoltava eseguire Froberger, Byrd e appunto Rameau. L’inclusione delle Variazioni-Haendel di Brahms offriva oggi la possibilità di seguire il cammino di riappropriazione del repertorio barocco da parte dell’800 romantico. Ma siamo sicuri che Brahms intendesse riprendere le sonorità antiche, o più semplicemente volesse ricreare sul pianoforte una “atmosfera”, della quale la sonorità è soltanto una componente ? Mi è parso che l’approccio troppo clavicembalistico abbia nuociuto in qualche punto alla resa della prima parte delle Variazioni, ma si tratta tutto sommato di dettagli, o forse l’impressione è derivata dall’aver ascoltato subito dopo gli Intermezzi op.117, per il quali Sokolov ha dimostrato di saper operare un cambiamento di sonorità davvero impressionante. Lo stesso tipo di “retrodatazione” era a mio parere ascoltabile anche nella Sonata in la minore di Mozart, che è apparsa meno dirompente del solito, spogliata com’era di qualsiasi componente protoromantica, quella che mandava in visibilio Ferruccio Busoni, Alfred Einstein e tutti i sostenitori del Mozart “demoniaco”. E alla fine dei conti il musicista che ne usciva vittoriosamente moderno era proprio il più antico di tutti, quel Rameau in grado di tessere variazioni di attualità straordinaria sul semplice tema de Les Niais de Sologne.
A una settimana di distanza, sempre per la Società dei Concerti di Milano, si poteva assistere a un radicale cambiamento di prospettive ascoltando il recital di Radu Lupu, direi meglio assistendo a una sorta di celebrazione sacra in grado di mettere in crisi gli spiriti più refrattari a qualsiasi tipo di emozione. Nel caso del pianista rumeno sarebbe riduttivo parlare di caratteristiche di tocco e di timbro, peraltro completamente differenti da quelle di Sokolov (e molto più ricche, perché dove quest’ultimo evoca sonorità clavicembalistiche Lupu riproduce una varietà incredibile di effetti orchestrali). Lupu domina come oggi nessun altro non solamente l’arco narrativo integrale delle composizioni da lui interpretate, ma entra nel particolare di un micro-fraseggio che scompone il discorso musicale in particelle, ognuna delle quali va ad assumere un significato emozionale specifico. Anche un profano può capire immediatamente, fin dalla realizzazione del primo arpeggio che apriva l’Improvviso in fa minore di Schubert, la qualità stratosferica del pianismo di Lupu, capace di anticipare appunto dalle prime note di una composizione l’intero significato di tutto quello che seguirà. Così accadeva per il Preludio, Corale e Fuga di Franck, la cui tristezza cosmica pareva veicolata da quell’incipit di quattro note, e per la schubertiana Sonata op.42. L’approccio completamente libero, poetico, così differente dall’analiticità controllatissima di Sokolov, porta spesso nel caso di Lupu alla perdita del controllo tecnico, che lui evidenzia con una smorfia di dolore comprensibilissima e che tuttavia non compromette la resa globale del suo modo di suonare. Sokolov pretende dall’ascoltatore una attenzione vigile e un poco dottorale nei confronti dello svolgimento del discorso, Lupu coinvolge nel profondo, scuote ogni certezza e allo stesso tempo ti mette in comunicazione diretta con l’autore, risultato non da poco in un universo popolato da pianisti più attenti alla ginnastica delle dita che al significato della musica.
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Recital del pianista Boris Berezovsky - Società dei Concerti, 22 Febbraio 2012
The Classic Voice n.154
Non era riuscito nemmeno Vladimir Horowitz nel tentativo di convincere
le case discografiche più in vista a prestare attenzione alla musica di un
compositore russo di grande levatura, Nikolai Medtner. Nato a Mosca nel 1880, diplomatosi
in quella città con un prestigioso Premio Rubinstein, Medtner si era trattenuto
in patria fino al 1925, aveva rifiutato l’invito di Rachmaninov a intraprendere
una carriera concertistica negli U.S.A., era andato avanti imperterrito fino
all’anno della morte (a Londra, nel 1951) a comporre sonate, concerti, lieder, pezzi
pianistici di stampo tardoromantico che trovavano scarsa ricettività in una
Europa tesa a premiare le più stimolanti avanguardie. Tutto sommato sulle
spalle del musicista ricadevano le accuse già rivolte nei confronti dell’amico
e collega Rachmaninov, con l’aggravante – per Medtner - di non essersi sottomesso al redditizio
meccanismo americano delle tournées. Al
centro della produzione pianistica di Medtner, oltre alle Sonate, troviamo la
successione di 38 Skazka (Maerchen, Racconti, Contes o più
impropriamente Fairy Tales) scritti
tra il 1904 e il 1928: una successione di quadri di ampiezza variabile e di
grande impatto espressivo, oltre che di proverbiale difficoltà strumentale.Boris Berezovsky, pianista dalle risorse meccaniche eccezionali e particolarmente convincente nel repertorio russo, ha avuto il coraggio l’altra sera di presentare ben 14 Skazka, eseguiti senza soluzione di continuità per una durata di circa un’ora : un compito di difficoltà immane e un progetto per nulla trascurabile che aveva come fine ultimo quello di chiedere al pubblico uno sforzo di concentrazione certamente maggiore di quello che per consuetudine si usa dedicare al repertorio più inflazionato. La CBS accontentò le pretese del Maestro Horowitz concedendogli nei primi anni ’60 di incidere un solo pezzo (la Skazka op.51 n.3) come strenna natalizia per la famosa casa produttrice di pneumatici Goodyear. I tempi sono cambiati : possiamo augurarci che possa saltare fuori una più sostanziosa sponsorizzazione (la Fiat di Marchionne ?) perché il risultato dell’impegno di Berezovsky non cada anch’esso nell’oblio ?
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